Vent’anni di impegno sembrano persi sul fronte della lotta all’abuso dei minori nel turismo globale e a confermarlo è uno studio, il maggiore finora sull’argomento, diffuso nei giorni scorsi sotto il patronato Onu da Ecpat International, organizzazione specializzata nel contrasto alla pedofilia che ha sede nella capitale thailandese Bangkok. Quella dello sfruttamento sessuale di bambini da parte di turisti e viaggiatori è una problematica in crescita nonostante l’impegno di organismi internazionali, gruppi locali e governi. A rafforzarla una serie di circostanze, in parte legate al recente sviluppo socio-economico di diverse aree, in parte alle caratteristiche locali dei paesi dove lo sfruttamento è più radicato. Con un contributo in negativo della criminalità informatica. Oltre 70 iniziative di tutela dei minori e studiosi si sono associati per fornire nel
Global Study on Sexual Exploitation of Children in Travel and Tourism (Studio globale sullo sfruttamento sessuale dei bambini nei viaggi e nel turismo) l’immagine precisa e scioccante della problematica «da cui non è immune alcuna area del pianeta».
«Con questo testo abbiamo ora a disposizione la maggior banca dati disponibile sull’argomento e il risultato principale è che, nonostante 20 anni di duro lavoro, lo sfruttamento è cresciuto a una velocità superiore ai tentativi di fermarlo», ricorda Dorothy Rozga, direttore esecutivo di Ecpat (
End Child Prostitution, Child Pornography and Trafficking of Children for Sexual Purposes), che ha coordinato il rapporto. «Con un’evoluzione – precisa – nella tipologia di chi abusa. Oggi chi sfrutta sessualmente i minori durante viaggi o soggiorni di varia durata e scopo non sono più tanto maschi bianchi, occidentali, benestanti e di media età, ma individui che provengono da ogni settore sociale e fascia d’età; non sempre pedofili conclamati, ma individui per cui l’abuso è solo occasionale, opportunista». Contribuiscono a questa nuova situazione principalmente due fattori: la relativa economicità dei viaggi e le nuove tecnologie. Queste ultime che supportano insieme la conoscenza e condivisione delle destinazioni più opportune e condizioni di maggiore anonimità.
«Un elemento che li accomuna – ricorda Dorothy Rozga – è la ridotta possibilità per chi abusa di essere arrestato, condannato e punito. Non a caso i colpevoli di reati sessuali preferiscono paesi con legislazioni approssimative e scarso impegno nella loro applicazione. Paesi dove più concreto è il senso di impunità». «Ricercare natura e obiettivi di questi cambiamenti – avverte il rapporto – è urgente». In Medio Oriente e Africa settentrionale gli autori citano come elementi che favoriscono lo sfruttamento i conflitti in corso, la condizione subordinata della donna in molte culture; anche tradizioni come il 'matrimonio temporaneo' che offrono la possibilità di abusi senza formalmente infrangere la legge religiosa. Paesi poveri dell’America Latina e dell’Asia meridionale che già hanno una pessima reputazione, vedono un ulteriore sviluppo del turismo straniero ma anche interno. Insomma, una situazione in evoluzione che «rende difficile tracciare l’origine di chi abusa e la loro destinazione – dice lo studio – e la distinzione tra paesi di origine e di destinazione va sfumando». L’Europa, un tempo nota per essere fonte principale del turismo pedofilo, sta emergendo ora come destinazione, soprattutto per quanto riguarda alcune nazioni centrali e orientali del continente che mancano di una legislazione adeguata a tutela dei minori.
Come ricordato da Kirsten Sandberg, a capo del Comitato per i diritti dei bambini dell’Ufficio dell’Onu per i Diritti umani, l’esplosiva crescita dei viaggi nell’ultimo ventennio è stato un incentivo alla sfruttamento, con oltre 1,1 miliardi di turisti nel 2014 contro i 527 milioni del 1995. «Paesi che vanno sperimentando ora un flusso di visitatori mirato allo sfruttamento sessuale, come Moldavia, Portogallo e Ucraina, vedono il turismo come un settore con fantastiche potenzialità economiche – sottolinea Mark Capaldi, ricercatore-capo di Ecpat –. Tuttavia è molto difficile modificare la cattiva reputazione di una paese che venga individuato come ospitale per il turismo sessuale e pedofilo». L’esempio della Thailandia è illuminante. Non solo resta la difficoltà di inquadrare il problema all’interno e di comprendere come Ong e governo possano contrastare sfruttamento e abusi, ma ogni tentativo di limitare il problema porta a una diffusione in paesi limitrofi. Come dimostrano i casi di Laos, Cambogia e Vietnam, che vanno emergendo come paesi meta di turismo pedofilo.
Ovviamente, turismo sessuale, prostituzione minorile e traffico di esseri umani sono sovente connessi. Un altro caso-limite è quello filippino, con 100mila bambini stimati dall’Unicef che ogni anno si aggiungono alla disponibilità di questo particolare 'mercato', vittime anche di corruzione e malaffare che incentivano la prostituzione nell’incapacità delle autorità di garantire diverse prospettive di vita, ma anche legalità e protezione. Il Sud-Est asiatico, che oltre alle Filippine include anche Thailandia, Indonesia e Malaysia è hub globale di questa forma di sfruttamento e chiamata in causa è anche una 'industria' locale tradizionalmente rilevante. Dal rapporto emergono altri dati significativi, come quello che occorre guardare oltre gli stereotipi. Porre l’enfasi infatti solo sui turisti occidentali attivi sessualmente in località finora note per essere loro aree di azione, ad esempio, può celare altri rischi. «Molti indizi indicano che gli uomini di provenienza asiatica sono più interessati di altri ad abusare di bambini, cercando ove possibile la verginità», indica ancora lo studio di Ecpat, e «le nazionalità di chi abusa tendono sempre più a rispecchiare la consistenza dei flussi turistici provenienti da Giappone, Cina popolare, Taiwan, Singapore Malaysia, Hong Kong, Corea del Sud. Con ancora una presenza consistente di australiani, statunitensi, britannici e altre nazionalità europee».
In questo la Thailandia, definita 'calamita globale' di turismo sessuale, ora con il 70 per cento di turisti di origine asiatica, guida una doppia tendenza. La prima, la diversificazione delle località di maggiore consistenza del fenomeno, dalle 'tradizionali' Bangkok e Pattaya a altre, come la settentrionale Chiang Mai e la meridionale Hat Yai: una che accoglie soprattutto visitatori malesi e singaporeani, l’altra seconda aperta all’afflusso di cinesi. Una 'decentralizzazione' problematica: «Le Ong locali – segnala il rapporto Ecpat – suggeriscono che mentre è ancora possibile individuare minori vittime di sfruttamento sessuale a Bangkok, questi sono molto meno visibili e più a rischio in località meno battute. Occorre anche guardare oltre lo scopo dello studio e ricordare, come fa Ecpat, che la maggior parte degli abusi sui minori, ha radici nell’abito familiare, di vicinato, incentivati o comunque poco sanzionati dalle legislazioni e dalle tradizioni locali. Questo spiega anche perché per la maggior parte non vengono denunciati e le vittime subiscono pressioni per non denunciare o vengono tacitate da vergogna e discredito, colpevolizzate per avere subìto. Per questo spesso costrette a cercare un destino diverso, lontano da casa, nei luoghi della prostituzione locale o del turismo sessuale.