Chi l’avrebbe mai detto? Harvey Weinstein, fino a ieri stimato produttore hollywoodiano, è un molestatore seriale, un uomo – non l’unico e non l’ultimo – che negli ultimi trent’anni ha estorto favori sessuali in cambio di una spintarella alla carriera. Una particina, una regia, la produzione di un film... Così abile nei suoi traffici da non suscitare alcun sospetto. Così discreto da non alimentare dicerie. In un mondo come quello dello spettacolo che sta alle malelingue come il cacio sui maccheroni, dove i pettegolezzi sono un fiume carsico che alimenta e fa esplodere geyser di fango, nessuno immaginava che mister Weinstein ospitasse mister Hyde. No, dai, non è credibile. È stupefacente lo stupore con cui in tanti hanno reagito all’inchiesta del New York Times che ha svelato il lato oscuro della forza di Weinstein, una vera potenza a Hollywood, nel giro di poche ore licenziato dalla casa di produzione che porta il suo nome, lasciato dalla moglie, rinnegato dagli amici.
Un branco di ingenui creduloni, evidentemente. O più probabilmente un branco di ipocriti che ha preferito girarsi dall’altra parte piuttosto che inimicarsi un uomo capace di influenzare il destino di molti. In questa storia tutti fanno una figura pessima, nessuno è esente da colpe. Per le donne, bisogna subire il ricatto e tacere, mettere in conto l’abuso come un dazio da pagare per la carriera? Forse sì, qualcuno ritiene che lo show business funzioni così. Ma anche no. E infatti la prossima vittima dello scandalo potrebbe essere il procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance Jr, che secondo fonti interne alla polizia – riportate dal New Yorker – avrebbe potuto incriminare Weinstein già nel 2015 per aver aggredito una modella ventiduenne, lei sì corsa a denunciarlo.
E respinta con danni: Vance – malgrado le prove – decise di non incriminare il produttore. Il cui avvocato, David Boies, poco dopo donò diecimila dollari alla campagna per la rielezione del procuratore: una storia ricostruita nel dettaglio dalla stampa americana, e ovviamente smentita dagli interessati, a dimostrazione di quanto pesanti possano essere le implicazioni dello scandalo. Che ha tutte le caratteristiche per trasformarsi in una valanga pronta a travolgere non solo il mondo del cinema, ma anche settori dei mondi della giustizia e della politica. Weinstein è stato un generoso finanziatore dei Clinton e degli Obama. Hillary Clinton – «colpita», «scioccata» e «sconvolta» – si è subito smarcata, arrivando a promettere che devolverà in beneficenza il contributo elettorale a suo tempo ricevuto.
Neppure i giornalisti ne usciranno indenni: Sharon Waxam, ex cronista del New York Times – il quotidiano che pure ha acceso la miccia – assicura che nel 2004 il giornale cedette alle pressioni di Weinstein per insabbiare una storia sul suo conto mentre un team di reporter della Nbc News ha rivolto la stessa accusa alla rete. Appare chiaro che erano in parecchi a sapere quello che oggi tutti fingono di scoprire per la prima volta. Ci sono anche interviste e registrazioni aziendali interne – riportate dalla stampa americana – a dimostrazione che l’azienda sapeva del vizietto di Weinstein e dei soldi con cui era stato pagato il silenzio delle vittime. Il funzionario incaricato dei pagamenti si è detto convinto che i rapporti fossero consensuali e che la sua unica preoccupazione fosse assicurarsi che non ne sarebbero venute grane per gli affari della casa di produzione.
Nessuno sapeva? Che amici e conoscenti, dive e divini affermati o pronti al lancio, colleghi e sottoposti abbiano avuto bisogno di un’inchiesta giornalistica per aprire gli occhi non è credibile. Trent’anni di abusi – anche se portati con disinvoltura – qualche traccia la lasciano. Troppo rischioso scoperchiare il vaso di pandora? Disturbare il manovratore che può guidarti verso il successo o la disgrazia? Weinstein si è imbarcato ieri su un jet privato diretto in Arizona, pronto per il ricovero in una clinica specializzata nella cura della dipendenza dal sesso. «Sto andando a farmi aiutare» ha detto, ammettendo di essere colpevole. È il numero dei complici che non si riesce a contare.