Il Krizevac, il monte della Croce a Medjugorje, in Bosnia (Ansa)
Proprio il caso delle 'apparizioni mariane' getta una particolare luce sulla trasparenza dello stile cattolico, della cui bellezza possiamo andare giustamente orgogliosi. Tutti sanno, e anche papa Francesco lo ha ribadito di ritorno da Fatima parlando di Medjugorje, che questi eventi – pure se la Chiesa si sia impegnata in una qualche forma di riconoscimento che li accredita come autentica esperienza di grazia che viene da Dio – non appartengono alla rivelazione che fonda e vincola la fede dei credenti. In altri termini: non siamo obbligati a crederci, anche nel caso di riconosciuta autenticità, come se l’adesione fosse essenziale alla professione della nostra fede cattolica. Non per questo è lecito ai credenti trattare con superficialità l’eventualità di questa speciale grazia, insieme con i frutti spirituali che ne possono venire per la Chiesa e per il mondo. In altre parole, a nessuno, nella Chiesa, è consentito disprezzare il dono dall’alto che può giungere a noi attraverso questa esperienza carismatica di manifestazione della Madre del Signore.
In ogni caso, le nostre personali riserve devono porre ogni cura di non gettare alcuna ombra sulla nostra fede e sulla nostra venerazione per la Madre di Dio, che fa indubitabilmente parte del dogma della fede che professiamo. Neppure deve esserne ferita la nostra sincera adesione al magistero della Chiesa, quando si impegna nel riconoscimento di un autentico dono di grazia che porta sostegno alla devozione cristiana dei credenti e alla conversione evangelica della vita. Di questo apprezzamento della genuinità del carisma, e dei frutti spirituali che ne derivano, è parte essenziale il giusto rigore con cui il magistero della Chiesa procede al discernimento circa i fatti, le persone, gli effetti. Nell’ambito della dottrina cattolica, non può essere neppure esclusa, come tutti sanno, l’eventualità che un carisma certamente autentico non sia sempre e in ogni caso onorato in modo adeguato e coerente da chi lo riceve. L’apostolo Paolo è chiarissimo, su questo punto. Il discernimento comporta perciò anche l’eventualità di un giudizio molto differenziato, come anche la raccomandazione di ulteriori verifiche.
La serietà di questo impegno, che è affidato alla responsabilità del magistero ufficiale della Chiesa, è certamente un tratto luminoso del suo esercizio, che si lascia apprezzare dai credenti e anche dai non credenti. Il suo scopo, infatti, è quello di custodire l’integrità della fede e la verità della devozione, proteggendo l’intero popolo di Dio (e chiunque altro) da ogni forma di credulità, superstizione, manipolazione e strumentalizzazione del sentimento religioso. Del resto, la saggia cautela della Chiesa a riguardo di apparizioni, miracoli, estasi e profezie è proverbiale. Nessuna sconsiderata foga apologetica, come anche nessuna pregiudiziale diffidenza razionalistica, devono inquinare l’onestà intellettuale del discernimento ecclesiale: nell’interesse della fede autentica. Parlavo, a riguardo di questo stile cattolico del magistero, di una bellezza della quale essere persino orgogliosi. Nel momento stesso in cui la Chiesa ribadisce che l’adesione alle rivelazioni cosiddette 'private' non appartiene all’essenza della rivelazione 'pubblica' che vincola la fede, essa non si sottrae al discernimento scrupoloso degli eventi potenzialmente carismatici che ne accompagnano la vitalità spirituale.
Protegge in tal modo l’integrità della fede dagli eccessi del sentimentalismo religioso, proprio come la tutela nei confronti dei pregiudizi del razionalismo irreligioso. Questa serietà va onorata e difesa, sostenuta e amata: in primo luogo, da tutti i credenti. Il magistero ecclesiastico che vi si impegna, nei modi dovuti e al più alto livello, deve perciò essere circondato di grande rispetto e gratitudine. (La sua competenza e la sua autorevolezza, al riguardo, appartengono certamente al dogma della fede). Ognuno può comprendere che il suo processo di discernimento abbia ragione di essere protetto da tutta la discrezione necessaria. Per essere giustamente 'riservato', tuttavia, questo processo non ha motivo di essere percepito come 'clandestino': quasi fosse ispirato da oscuri moventi e inaccessibili criteri. Nel suo stile semplice e diretto, il papa Francesco ha inteso fugare queste ombre, e restituire anche al popolo di Dio la percezione di questa limpidezza. Ha perciò ritenuto di dare conto del fatto che egli ha effettivamente ricevuto gli esiti dell’apposita Commissione pontificia su Medjugorje decisa da Benedetto XVI, i quali sono in esame anche presso la Congregazione della fede. (E lo ha fatto - non va dimenticato - al termine di un vero pellegrinaggio mariano del Papa, che ha onorato ed esaltato la Madonna delle apparizioni di Fatima!).
Il Papa ha dunque confermato, in termini colloquiali e per ora - in forma personale, che il tema non è affatto disatteso, al più alto livello dell’autorità magisteriale. E ha indicato semplicemente i dati salienti che, nella sua percezione attuale, orientano le sue considerazioni: la genesi carismatica di questa devozione è certamente degna di approfondimento, la storia della sua recezione e interpretazione suscita qualche motivata perplessità, gli effetti di conversione e di vita cristiana che tutt’ora la accompagnano sono un fatto che non può essere negato. E dunque, un tema pastorale autentico, che merita sin d’ora la sollecitudine e la cura della stessa Sede apostolica. L’invio dell’Arcivescovo Hoser, con questo preciso mandato, aveva del resto già confermato questa valutazione.
La trasparenza è dunque apprezzabile in questa chiave: e non si può certo contestare al Papa, che ne è il destinatario diretto, la facoltà di comunicare anche informalmente la sua percezione degli elementi di interesse che ha colto negli atti della Commissione presieduta dal cardinale Ruini (che comprende Cardinali e Vescovi, non solo teologi ed esperti). E’ certamente comprensibile che nel popolo di Dio e nella pubblica opinione si tragga argomento da questa serena comunicazione per comprendere meglio i termini del discernimento che continua ad essere indicato come necessario. Questo Papa è l’ultimo, come ormai si sa, a voler mortificare questo confronto. Senza dimenticare, tuttavia, che non è la competenza del Papa a pronunciarsi (nelle forme ufficiali e nei termini magisteriali che riterrà pertinenti) ad essere in discussione. Non sono i messaggi di Medjugorje a decidere dell’autorità del magistero petrino che conferma la fede e guida la Chiesa: questa è già al sicuro del dogma cattolico, che vincola l’ossequio dei cattolici osservanti (e raccomanda anche di custodire quell’atteggiamento spirituale di simpatia e di rispetto che ne devono agevolare l’accoglienza condivisa, nella pace e nella carità ecclesiale).
In primo luogo, questo atteggiamento sarà dunque condiviso da quelli che, aderendo con fede sincera al mistero unico e benedetto della Vergine Maria, sono pronti ad accogliere anche i segni carismatici del suo amore, mediante il quale la Madre del Signore conduce, ogni volta e sempre, la nostra devozione alla fede autentica nel Figlio di Dio. Non per la curiosità di segreti e messaggi - comunque non determinanti per stessa fede cristiana nel mistero di Maria - che debbano rendere più eccitante e spettacolare la devozione. Bensì unicamente per la conversione della vita all’amore di Dio, e per la gioia di ogni dono ricevuto in vista dell’utilità comune (1 Cor 12, 7).