domenica 21 febbraio 2010
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Caro direttore,sono un sacerdote della diocesi di Lucca e ultimamente sto riflettendo sul tema dei messaggi proposti dalla televisione alle nuove generazioni. Le narro un piccolo episodio che mi fece riflettere. Alcuni anni fa un bambino mi chiese se si poteva eliminare un altro bambino che frequentava lo stesso gruppo di catechesi. Questa richiesta mi stupì molto e gli domandai spiegazioni. Lui, con una naturalezza che mi lasciò sbalordito, mi disse che aveva votato al Grande Fratello per eliminare un concorrente antipatico. Gli esempi come questo si potrebbero moltiplicare. Da allora ho capito ancora di più quanto diversità esiste tra il Vangelo e le convinzioni che propongono molti programmi televisivi. Aiutare le nuove generazioni a riflettere e interpretare i programmi televisivi dev’essere per noi un compito importante. Infatti mentre nella catechesi parrocchiale a questo bambino si trasmettevano i valori insegnati da Gesù: l’accoglienza, il perdono, il rispetto... quel bambino, come milioni di altri bambini «telespettatori», riceve messaggi di esclusione, di dialogo aggressivo, è indotto a condannare esasperando gli errori altrui. L’altro non è un soggetto col quale instaurare un rapporto di condivisione, ma persona da sconfiggere, criticare, annientare. Volevo chiederle che cosa ne pensa e se giudica la mia preoccupazione esagerata.

don Luca Giambastiani Lucca

No, caro don Luca, credo che la sua preoccupazione sia condivisa da tutti coloro che guardano con occhio premuroso ai più piccoli. Tante pagine sono state dedicate all’analisi della condizione infantile in questo mondo che cambia vertiginosamente e non è questa la sede per sviluppare l’ennesimo «trattato». Si possono però rimarcare alcuni aspetti sui quali ciascuno di noi può intervenire. Uno è certamente quello relativo al tempo che i nostri figli trascorrono da soli davanti al televisore. Vista la ramificazione pervasiva, a ogni ora del giorno e della notte, di programmi volgari e diseducativi, è persino ovvio – ma mai inutile – ricordare che la solitudine davanti al piccolo schermo va quanto più possibile evitata. La segnalazione è ricorrente, ma il fatto che l’allarme sia ripetuto non ne riduce il peso. L’insinuazione subdola di atteggiamenti e comportamenti diseducativi – ben esemplificata dal suo aneddoto – non può essere fronteggiata che da una vigilanza assidua e da un dialogo coltivato con disponibilità e attenzione. Ritmi e tempi della vita moderna ostacolano tutto ciò, ma non si può rinunciare a fare tutto quanto possibile per ridurre al minimo i rischi insiti nel consumo vorace di video. Vanno poi coltivate le occasioni di socializzazione e di composizione armonica di diverse soggettività, soprattutto nella prima stagione formativa dei nostri ragazzi. Mentre un tempo le asperità del temperamento individuale venivano smussate già dal confronto coi fratelli, oggi questi sono «merce rara». C’è anche questa consapevolezza alla base del nostro convinto e continuo richiamo alla necessità di politiche che favoriscano la ripresa della natalità e quindi famiglie più numerose. In un tempo di cambiamenti (e di immigrazione) dobbiamo davvero aiutare i piccoli a imparare a vivere con gli altri, non solo a scuola. Ecco l’importanza di favorire le occasioni di socialità non competitiva, come anche il catechismo da lei citato, e quelle reali (e non virtuali) di amicizia e di gioco. Lo dico da genitore: serve più che mai che madri e padri dedichino tempo e amore, senza eccessi possessivi ed esagerazioni protettive, dialogando con la scuola e la parrocchia per alimentare ambienti di crescita sereni e inclusivi.
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