Caro direttore,
ormai non arrossiamo più, non ci vergogniamo più di fronte a situazioni che fanno rabbrividire, come quella di una sessantina di persone tenute in mare senza un porto sicuro per ben undici giorni. Ormai è diventato un assurdo rituale, un cinico carosello surreale. Eppure è chiaro, anche i naufraghi raccolti dalla “Alan Kurdi” nel Mediterraneo e ieri finalmente fatti sbarcare (a Malta) e suddivisi in quattro Paesi d’Europa (non l’Italia) come tutti quelli che li hanno preceduti negli ultimi mesi se lo sono meritato: queste persone si erano messe in viaggio affidandosi a trafficanti pur avendo molte altre e comode alternative; e per di più sono fuggite da un Paese, la Libia, che, come continuiamo a vedere in queste ore, è un luogo certamente desiderabile e adatto per le vacanze di tutti noi...
Fuor di provocazione, le migrazioni sembrano essere diventate, un pretesto politico più che un fattore davvero capace, come si sostiene, di mettere in crisi la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea. Ma un’Europa senza cuore, senza umanità, con diritti che divengono privilegi di pochi è ancora desiderabile? La libera circolazione, la solidarietà tra Stati membri, la politica comune in materia d’asilo sono alcuni dei punti chiave su cui si fonda da sempre il progetto comune europeo perché alla base c’è sempre stata un’idea forte: il rispetto della dignità di ogni essere umano, non solo dei cittadini europei. Davvero il problema sono i numeri degli sbarchi irregolari? O si sta insinuando che non potendo più permetterci i diritti umani per tutti – perché anche la dignità umana sembra avere un costo e non un valore come ci ricordava Kant – bisogna scegliere chi è meno uomo o meno donna per non soccorrerlo, non curarlo, non salvarlo?
Si fa leva in modo strumentale su una questione che in verità non interessa i potenti di turno, ma certo è un grandissimo mezzo di persuasione. Se arrivano nuovi poveri, più poveri dei poveri di casa nostra, di chi ci si occupa se le risorse sono ridotte? La risposta già la conosciamo da tempo: di nessuno, come si è sempre fatto e sempre si farà finché imperverserà questa “cultura dello scarto”. Non cadiamo nel tranello.
Uno degli elementi più problematici degli ultimi anni è il venire meno della coesione sociale nei singoli Stati membri e nell’Europa nel suo insieme. Le ineguaglianze si allargano e molti fattori minano l’unità e la solidarietà all’interno delle città europee. Il problema non sono le differenze culturali o di provenienza, che sono una sfida da non sottovalutare. Il vero problema è la forbice che negli anni si è sempre più aperta tra ricchi e poveri. E la classe media a rischio povertà è usata e scagliata contro chi arriva tra noi da altrove, divenendo strumentale per politiche escludenti. Ma un umanesimo escludente è un umanesimo disumano, dunque impossibile. La causa della situazione che viviamo non sono i migranti. Loro hanno smascherato la fragilità di un sistema. Un ragazzino nei giorni scorsi nella periferia romana con lucida semplicità ce lo ha ricordato.
Sempre più spesso e sempre più a sproposito incolpiamo Europa e migranti di essere causa e origine dei nostri mali, indicati come responsabili pressoché unici di quanto sta succedendo nelle nostre società fiaccate, impaurite e in crisi. I migranti sono, con molti altri poveri delle nostre latitudini, non la causa ma l’effetto di queste politiche escludenti.
L’unica vera responsabile di questa situazione di incertezza magmatica in cui siamo finiti è la poca lungimiranza di ogni singolo Stato. I governi europei non investono abbastanza nella crescita sostenibile del continente africano, definendo “cooperazione allo sviluppo”, anche e soprattutto accordi discutibili in cui in cambio di denaro e armi si chiudono le frontiere dei Paesi africani in cui transitano i migranti in viaggio. Si è arrivati a considerare la morte di centinaia di persone prima un fastidioso effetto collaterale, ora persino un fatto trascurabile e di alcun rilievo per le nostre comode esistenze.
C’è poca solidarietà tra gli Stati membri, come mostra il rimpallo di responsabilità che si scatena ogni volta che una nave soccorre in mare i migranti naufraghi. Il ricollocamento, le quote e la distribuzione dei rifugiati tra Paesi europei persi nella memoria nella politica comunitaria degli ultimi anni, hanno lasciato all’ingovernabilità e a una maggiore irregolarità chi arriva in cerca di protezione.
L’Europa, ha ricordato spesso papa Francesco, è stata costruita dai migranti: le migrazioni hanno riportato vita, speranza e prospettive in un continente devastato dalla guerra. In un mondo sempre più interconnesso, il futuro deve essere costruito insieme: cittadini da sempre, nuovi cittadini e migranti, in una società capace di rispettare la dignità e di valorizzare il contributo di ciascuno.
Per questo il Centro Astalli, insieme a tanti uffici del Servizio per i rifugiati dei Gesuiti in Europa ha deciso di aderire alla campagna Europea “Stavolta Voto”, certi che il voto di ognuno contribuirà a realizzare un futuro migliore per la nostra Europa casa comune.
Sacerdote, presidente Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia