Caro direttore,la vicenda spinosa del "no" alle Olimpiadi a Roma, al di là delle diverse posizioni degli schieramenti politici, è oggi indicativa di un Paese che non riesce a trovare una unità d’intenti e la necessaria coesione sulle grandi scelte di sviluppo e di progresso, come al contrario hanno saputo fare altre nazioni in questi anni.La decisione delicata e certamente complessa se candidare Roma e l’Italia intera a un grande evento internazionale come le Olimpiadi avrebbe meritato un dibattito istituzionale e una legittimazione decisamente più "alta" rispetto alle scelte del Comune di Roma o alle giuste aspettative di una storica istituzione come il Coni. Doveva essere una decisione del "sistema Paese" e non la spia, ancora una volta, di una palese incapacità della classe politica e dirigente a trovare una linea condivisa, una mediazione, come avvenne, per esempio, con uno spirito positivo negli anni cinquanta prima dei "giochi olimpici" del 1960 o in altri periodi difficili della storia dell’Italia. Bisognava comprendere che cosa la comunità può guadagnare sul piano infrastrutturale, occupazionale, dei servizi sociali per i giovani, gli anziani, i disabili, organizzando le Olimpiadi e in particolare come sfruttare questa occasione per dare una immagine nuova, trasparente, efficiente degli apparati dello Stato. Sono questi i momenti in cui bisognerebbe fare tesoro, al di là della retorica, della lezione di statisti come Aldo Moro, di cui ieri abbiamo celebrato il centenario della nascita o di Carlo Azeglio Ciampi che hanno sempre messo avanti l’interesse generale del Paese, prima di ogni cosa. È la politica che deve decidere in questi casi senza rifugiarsi nella tentazione della democrazia diretta o del parere della Rete. Avrebbe potuto essere, insomma, una prova di estrema maturità, per tutti. Ma l’Italia è oggi incapace di costruire il proprio futuro, immobile e intrappolata da una parte in un pessimismo dal sapore populistico che dice "no" a prescindere al cemento per paura della corruzione e dall’altra parte dalle burocrazie irriformabili, dal rischio delle infiltrazioni malavitose, dai veti incrociati che bloccano le tante opere pubbliche di cui l’Italia ha enormemente bisogno.Non tocca, certamente, al sindacato esprimere giudizi o dare pagelle. Ma la rinuncia alle Olimpiadi è una sconfitta per tutti. Nessuno può oggi cantare vittoria o esultare per una decisione che sul piano internazionale non fa bene all’immagine del nostro Paese. È una sconfitta per quelli che giustamente pretendono più legalità, più controlli negli appalti e anche più sicurezza per i lavoratori, in un Paese che ha un livello di corruzione e di sprechi che supera (dati della Corte dei conti) i 60 miliardi all’anno. Una sconfitta per quelli che si battono per la riqualificazione urbanistica e delle periferie, come avvenne a Roma con i giochi olimpici nel ’60 e a Torino con quelli del 2006 che hanno visto davvero rinascere quella città, in un’Italia dove bisoogna mettere in sicurezza le case e il patrimonio architettonico dal rischio delle calamità naturali. Ma è soprattutto un brutto colpo per i tanti giovani disoccupati che ogni giorno inviano il proprio curriculum alle aziende, per le donne madri che reclamano più asili nido, per gli anziani che chiedono più servizi, metropolitane e trasporti efficienti, ospedali moderni, più assistenza, sicurezza, pulizia nelle nostre città, in una Italia che ha perso il 22 per cento della sua produzione industriale dal 2007 al 2016, con una edilizia che stenta a ripartire e una stagnazione complessiva dei consumi e degli investimenti. Queste sono le cose che interessano ai cittadini, al di là che si facciano o meno i giochi olimpici e gli eventi internazionali. Speriamo che la politica, il Governo, le Regioni e i Comuni, sappiano essere all’altezza di questi compiti gravosi, trovando con il dialogo con le parti sociali le giuste soluzioni ai problemi per troppo tempo irrisolti. *
Segretaria Generale Cisl