La scuola italiana ha un problema che si perde nella notte dei tempi. Un equivoco, profondamente radicato e pervasivo, che ha un nome preciso: lezione frontale. La didattica della scuola italiana si basa ancora sulla convinzione che il metodo più efficace perché bambini e ragazzi apprendano consista nella spiegazione dell’insegnante.
La lezione frontale richiede molta capacità di attenzione, che, come dimostrato da tante ricerche neuroscientifiche, non è sostenibile neanche dagli adulti, figurarsi da bambini e ragazzi. Non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l’alunno. L’attenzione è 'selettiva', ossia sceglie di cogliere alcuni stimoli e ne ignora altri, da cui il cervello è bombardato simultaneamente. I bambini sviluppano presto l’attenzione 'selettiva' e, piano piano, crescendo diventano capaci di gestirla in modo 'volontario', sviluppando nell’adolescenza una sempre maggiore capacità di concentrazione.
È un processo fisiologico, estremamente individuale, influenzato da numerosi fattori: le risorse individuali, la motivazione, le caratteristiche personali, la stanchezza. La massima capacità di attenzione si registra attorno ai 18/26 anni e non supera i 40/45 minuti di tempo. Inoltre, considerato che in classe alunni e studenti sono sottoposti a infiniti fattori di interazione e disturbo, è facile rendersi conto come la lezione frontale sia chiaramente fallimentare.
Quindi, dopo 50 minuti di spiegazione, è normale che i ragazzi abbiano adottato la tecnica dello sguardo catatonico: si concentrano sull’insegnante senza minimamente ascoltarlo. Il miglior processo di apprendimento non si attiva in solitudine. Il genio intellettuale, che studia isolato, come Vittorio Alfieri che si lega alla sedia o Giacomo Leopardi rinchiuso nella biblioteca paterna, non sono modelli ma personaggi speciali, l’eccezione che conferma la regola. Le scoperte legate al sistema dei neuroni specchio confermano l’importanza dell’interazione sociale per imparare: osservando gli altri, nel nostro cervello si attivano le stesse aree necessarie per acquisire quelle informazioni. Inoltre, il gruppo attiva numerosi elementi emotivi e motivazionali e favorisce le capacità cognitive.
La scuola, per sua natura sociale, gestisce un processo di apprendimento di gruppo, in cui la logica dell’isolamento è fuori contesto. Purtroppo nella pratica tutto ciò viene scarsamente considerato, anzi, constatiamo quotidianamente che nella maggior parte delle classi di ogni ordine e grado ha ancora un ruolo egemone la trasmissione nozionistica e l’individuazione della risposta considerata 'esatta', che deve essere rielaborata in solitudine, nella convinzione diffusa che il confronto con gli altri sia solo una perdita di tempo, un elemento che disturba il tradizionale processo di conoscenza.
Anche la maieutica, come la lezione frontale, risale alla notte dei tempi ma, al contrario di quella, risulta ancora oggi innovativa perché più aderente alle condizioni che permettono di imparare in modo efficace. Da Socrate a sant’Agostino, fino a Maria Montessori, Danilo Dolci o Paulo Freire, l’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale, l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente. La maieutica è orientata a sviluppare la capacità di acquisire apprendimenti che portano l’alunno a fare da solo e a essere in grado di costruire delle competenze permanenti, non estemporanee né basate su performance puramente ripetitive.
Può essere sintetizzato in un’idea: «Fare esperienza insieme agli altri e affrontare in gruppo i problemi che rendono capace di imparare autonomamente». Il presupposto fondamentale è che chi impara deve attivarsi, sviluppare le proprie risorse, non restare abbarbicato alla presunta sicurezza della pura e semplice ripetizione. La scuola che verrà non potrà che essere una vera comunità di apprendimento.
Sabato 14 aprile ( Teatro Carcano a Milano, corso di Porta Romana 63, ore 9-17) si svolge il convegno «La lezione non serve - La scuola come comunità di apprendimento», organizzato dal Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (Cpp) fondato e diretto da Daniele Novara. Il convegno ha l’obiettivo di mettere in discussione la lezione frontale per proporre un nuovo modo di insegnamento basato sul coinvolgimento diretto e sociale degli alunni.