domenica 10 aprile 2011
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Caro direttore, sul merito della proposta di Umberto Veronesi in materia di doping, sono intervenuti tempestivamente, in dissenso, il presidente del Coni e il ministro della Sanità. Anche il direttore della "Gazzetta dello Sport", con grande senso di responsabilità, ha subito pubblicamente preso le distanze dal professore: la "Gazzetta", coerente con il suo impegno di contrasto al doping, in favore di uno sport palestra di vita, non poteva tacere davanti a cotanta leggerezza. Il professor Veronesi, avventurandosi disinvoltamente in campi diversi dall’oncologia medica, è incorso in contraddizioni logiche clamorose e, qualcuna, grave invero. Nel mentre lanciava un’operazione "Tappe della salute", dichiarando che «lo sport insegna tutto: rispetto delle regole e degli avversari, non abbattersi né esaltarsi troppo», dopo avere sostenuto che esiste un doping dannoso e uno innocuo da consentire, per risolvere il problema dell’uguaglianza tra chi gareggia, ha addirittura proposto la liberalizzazione del doping tout court. La soluzione, a suo dire, sarebbe quindi quella di costringere tutti a doparsi per gareggiare alla pari con gli altri. Poi però, nella stessa intervista, il professore ha raccomandato di non fumare e di non mangiare carne. Ci auguriamo che le idee sugli stili di vita che verranno consigliati alle 'Tappe della salute' siano più solide e strutturate. Non deve però passare sotto silenzio che, per sostenere il diritto di doparsi, il professore abbia affermato: «Da liberale convinto, ho un approccio meno latino e più pragmatico: noi abbiamo il diritto, non il dovere, alla salute». Sarebbe questo l’insegnamento che noi vogliamo dare ai nostri giovani nello sport? Che non abbiamo alcun dovere nei confronti della nostra salute ma solo diritti? Che rovinare la nostra salute è esercizio di libertà? Con tutto il rispetto di rito per Umberto Veronesi, l’unica morale che si può trarre da queste 'proposte' è che, per quanti titoli si abbiano in uno specifico campo, quando ci si occupa di tutt’altro il nostro parere dovrebbe valere, anche per i mass media, come quello di qualsiasi comune cittadino, per quello che vale.Cordiali saluti.

Gabriele Petrolito, Vicepresidente Federazione medico sportiva italiana

Sono completamente d’accordo con lei, caro dottor Petrolito. Ci sono declinazioni della libertà (e della concezione liberale della vita) che vengono fatte lievitare in modo smisurato e irresponsabile, sino a diventare informi, irriconoscibili e persino impudenti caricature dell’idea di partenza. In certi ambienti intellettuali inclini al radicalismo sono diventate regola diffusa, ma per fortuna ci sono ancora e sempre assai più uomini liberi (e liberali) di ben altra tempra... C’è, però, anche un altro problemino: il mondo è – ahinoi – popolato da una vivace schiera di "tuttologi" avventurosi e sentenziosi (lo dico a ragion veduta, mi creda, e sapendo benissimo che nella mia categoria, quella dei giornalisti, non mancano di certo...). Proprio per questo non ci sarebbe affatto bisogno delle 'lezioni' date da 'specialisti' in libera uscita dalle proprie (anche esimie) competenze.Lo strano caso dell’uscita del professor Veronesi sul doping è un chiarissimo esempio di quel che ho appena ricordato. Come ormai si sa, il noto oncologo non disdegna le esternazioni e le incursioni polemiche a vasto raggio: svaria dalle profezie sul futuro – a proposito di un mondo di esseri (dis)umani che si riproducono solo in laboratorio – alle teorie, appunto, sulla par condicio dell’epo e fors’anche dell’anabolizzante, dalle campagne pro-eutanasia all’impegno pro-nucleare. Sono sue opinioni, più o meno condivisibili, più o meno ragionevoli, più o meno raccapriccianti o sconvolgenti. Ma anche per lui vale pienamente la regola che lei, caro amico, da consapevole uomo di cultura e di scienza qual è, evoca in modo così efficace e appropriato: ognuno può dire (quasi) tutto ciò che vuole, e può persino rinunciare al buon senso se non offende la buona educazione e la legge, ma abbia il ritegno di non impancarsi a maestro, quando non lo è. E, soprattutto, non rinunci mai a pensare a quel che dice e alla conseguenze delle pretese lezioni che impartisce.Un’autorevolezza riconosciuta comporta un dovere maggiore, non regala la licenza di straparlare. E il doping è un problema assai grave e serio, non un’opzione come un’altra nella vita delle persone e degli atleti. Su Avvenire ci torneremo presto su, affrontandolo come merita.Ricambio i suoi cordiali saluti.
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