«È scalatrice della storia», diceva l’anno scorso in un’intervista Tom Ballard, alpinista di fama mondiale. Parlava di sua madre, Alison Hargreaves, inglese, la prima donna a arrivare in vetta all’Everest senza ossigeno. Ora Ballard è, insieme all’italiano Daniele Nardi, disperso fra le cime del Nanga Parbat, in Pakistan, nona cima al mondo per altezza. Li cercano con i droni: fino a ieri sera però dei due non c’era traccia. Ma dietro a questa sfida, e speriamo non tragedia, dell’alpinismo, c’è altro.
Ci sono una madre e un figlio. Una madre fuoriclasse, in un ambito ancora per lo più maschile. Una che amava sfidare le vette, se stessa e gli altri, quelli che dal basso stavano a guardare, e che sorridevano e scuotevano la testa. Giovanissima, Alison Hargreaves nel 1988 scalò la parete Nord del-l’Eiger, la più difficile, in un modo del tutto particolare: con un bambino di sei mesi in grembo. Fra le polemiche, si può immaginare, per quella che pareva una sfida incosciente.
Però la donna arrivò in vetta e scese, tranquillamente. Quel figlio nella pancia era Tom, ora disperso sul Nanga Parbat. Piccolissimo, vedeva sua madre partire per remote mete e, sempre, rincasare felice e vittoriosa. Fino al giorno in cui non fece ritorno dal K2. Il suo corpo è ancora là, fra ghiacci e nevi che non si sciolgono mai. Tom, che la aspettò invano, aveva sei anni. Quando fu che decise di seguire le orme materne?
Ragazzino, allenava nelle Highlands il suo corpo già agile. Si sentiva, in quelle prime arrampicate, nel silenzio della montagna, accompagnato da sua madre? E, come Alison, Tom ha aperto nuove vertiginose vie invernali, in sempre inedite sfide; e quando gli domandavano se pensava che sua madre fosse fiera di lui, sorrideva in un orgoglioso 'sì'. C’è, nell’alpinismo, qualcosa che va oltre lo sport. Lì, la sfida dei campioni è con vette inarrivabili, con vertiginosi dirupi, e rocce scabre dove solo le aquile volano. Lassù un uomo normale sarebbe oppresso dal sentimento d’essere un nulla, fra quelle maestà di ghiaccio. Eppure, alcuni osano affrontare i mostri sacri. A volte non ritornano, come Alison Hargreaves, quasi che la montagna, in un incantesimo, non l’avesse lasciata più venire via. Forse per un bambino la mamma dispersa era una prigioniera da andare a liberare?
Ma, anche cresciuto, il figlio ha continuato a inseguire la sfida con vette sempre più imponenti e inviolate. Cosa cercano davvero quelli che scalano il K2 o l’Everest, in quei silenzi, nella freddezza lunare di rocce mai calpestate dall’uomo? Noi, gente di pianura, o al massimo di funivia, non possiamo capire. Avvertiamo però che il richiamo delle pareti a picco e degli abissi è metafora di qualcosa di molto grande, di epico: fra la ricerca del Graal e il viaggio dei primi navigatori verso nuovi ignoti mondi. La storia di Tom Ballard, in cima all’Eiger quando ancora non era nato, ci dice però anche qualcosa sulla trasmissione delle passioni dai genitori ai figli. Si sentono spesso padri e madri lamentarsi di figli con modesti ideali e scarse ambizioni, adulti e ancora in casa, o eterni fidanzati che non osano sposarsi.
Eppure hanno avuto buone scuole, e buoni esempi. Ma lo slancio e la passione per la vita, e il desiderio di cose che durino per sempre, non si insegnano con sagge parole: si trasmette con il proprio vivere, con il ritmo del respiro. Era il ricordo del sorriso con cui la madre tornava, erano i suoi racconti, la sera, era la gioia con cui si preparava a un’altra impresa, ciò che ha spinto il figlio a imitarla. A cercarla, forse, tra quei ghiacci da cui non era tornata. In imprese che mescolavano coraggio, amore e quella grande sfida segreta, che solo gli uomini delle vette inviolabili sanno. Tom Ballard ha seguito sua madre. Speriamo che lui ritorni a casa. La sua storia, però, torna a porci tra le righe una domanda: sono i figli di oggi che mancano di passione e di coraggio, o è la generazione dei padri, la prima dell’Italia del benessere, che non ha saputo trasmettere il gusto delle cose grandi?