Gentile direttore,
prendo spunto dalla lettera della signora Cefola, pubblicata venerdì 8 marzo, per alcune riflessioni. È la testimonianza di una persona ferita nella sua dignità di donna, madre e lavoratrice che, giustamente, si domanda come sia possibile che dopo 72 anni dall’entrata in vigore della Costituzione possano ancora accadere fatti come quello da lei vissuto. Impossibile non condividere l’amarezza e lo sconcerto – come peraltro lei, direttore, ha ben sottolineato nella sua risposta – di fronte alla perdurante cecità e inerzia della nostra classe politica rispetto alla fondamentale questione della tutela della maternità e della famiglia, anche qui in palese dispregio della Costituzione (art. 29 e 31). “Avvenire” dà sempre spazio alla questione del gelo demografico che attanaglia l’Europa e il nostro Paese. Cosa fare? Gli esperti e anche i partiti (ma soltanto in campagna elettorale) prospettano diverse soluzioni che poi, all’atto pratico, restano nel cassetto. “Avvenire” ha dato la notizia, qualche mese fa, del deposito, in Corte di Cassazione, di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del reddito di maternità, da parte del Popolo della Famiglia (Pdf). È un atto concreto che riconosce la dignità di lavoro alla madre che decide di dedicare il suo tempo alla cura dei figli e che metterebbe tante donne, rese schiave dalla necessità di lavorare, rinunciando al loro desiderio di diventare madri, nella condizione di poter scegliere liberamente cosa fare. Non so se lei ha firmato, se l’ha fatto o lo facesse, sarebbe uno straordinario “spot”.
Maurizio Agrò Terni
Grazie per l’apprezzamento e lo stimolo, gentile dottor Agrò. Non so se una mia firma sarebbe «uno straordinario “spot”», certo sarebbe un atto di cittadinanza attiva e penso che sia giusto che lo compia chi dovesse pienamente condividere l’articolazione di quella interessante proposta. Le argomentazioni della sua intensa lettera mi spingono ad alcune sottolineature che l’aiuteranno a capire perché personalmente non ho firmato un’iniziativa di legge popolare di cui apprezzo certamente lo spirito di fondo. C’è un punto in particolare che desidero chiarire subito e che lei tocca quasi in conclusione: il lavoro quando è degno, e in un Paese civile deve esserlo, non può rendere schiave e schiavi. Non umilia né amputa l’umanità di nessuna persona e a maggior ragione quella di una lavoratrice e madre (o aspirante tale). E non credo che una donna e madre realizzi di più e meglio la propria vocazione rinunciando a prescindere (cosa, sia chiaro, che non credo lei suggerisca) alla propria dimensione professionale e lavorativa. Il primo esempio di questo l’ho avuto da mia madre, mamma di quattro figli e per quarant’anni appassionatamente dedita anche al suo lavoro di maestra, con sempre accanto mio padre.
E vengo al punto. Il Reddito di maternità, così come è delineato nella proposta del Pdf, che credo di aver ben compreso, sarebbe di 1.000 euro netti al mese garantiti per 8 anni a tutte le donne con cittadinanza italiana che dovessero richiederlo entro il quindicesimo giorno successivo alla nascita di un figlio (o alla sentenza di adozione). Sarebbe reiterabile alla nascita (o all’adozione) di ogni figlio e verrebbe interrotto solo in presenza di un reddito da lavoro. Diverrebbe, infine, vitalizio con la nascita del quarto figlio o di un figlio disabile. Si tratterebbe, insomma, di un reddito tendenzialmente vitalizio. E che non contemplerebbe le straniere regolarmente residenti in Italia (un principio di esclusione che ritengo contrario ai princìpi del nostro ordinamento costituzionale). Si ipotizza un costo di 3 miliardi di euro all’anno, ma non mi sono chiare altre implicazioni e conseguenze, ad esempio rispetto all’Isee e a livello previdenziale. Si tratta, senza dubbio, di uno strumento impegnativo e suggestivo, ma per sostenere la natalità scongiurando la rinuncia-amputazione che si vorrebbe imporre alle lavoratrici indotte a non diventare madri temo che si finirebbe per spingere le donne e madri a una rinuncia-amputazione sul piano lavorativo- professionale. E io penso – e questo gli amici lettori già lo sanno – che la limitazione alla sola sfera domestica del lavoro al femminile sarebbe una perdita secca e grave per ogni comunità umana.
Non per nulla la Comunità Papa Giovanni XXIII che, qualche anno fa, ha avanzato una proposta analoga, sviluppando un’intuizione di don Oreste Benzi, ha immaginato per il “suo” Reddito di maternità, un limite chiaro: una durata triennale. Riscriverei, in sostanza, il testo della proposta del Pdf (ma conosco i miei limiti, e non so se sarebbe davvero migliore!) che considero comunque un utile stimolo. Confermo, però, di continuare a preferire uno strutturato sostegno al reddito e alla vita quotidiana dei nuclei con figli sulla base del cosiddetto Fattore Famiglia ideato e affinato nel tempo dal Forum delle associazioni familiari, oggi guidato da Gigi De Palo, e “lanciato” da un milione e duecentomila firme presentate nel 2011 all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano oltre che da una lunga (e purtroppo assai solitaria) campagna informativa di “Avvenire”, di Tv2000 e dei settimanali della Fisc. Quanti recenti e ideologici paladini mediatici della famiglia hanno invece dormito anni e anni di sonni di piombo (e anche digitali)... Mentre si apre a Verona un evento che vede al centro la famiglia “nel mondo” e sulla cui tribuna saliranno politici nostrani della sola area politica che si definisce “sovranista”, vorrei perciò che in Italia si fosse finalmente capaci della sana e utile concretezza che anche lei, gentile amico lettore, invoca. Una concretezza da sempre snobbata da capipartito di ogni colore, ma sinora tutti ugualmente in vena di promesse di svolte pro-famiglia da campagna elettorale. Promesse, cioè, stentoree, spesso vaghe e sempre vane.