«Evitare accanimento terapeutico». Ma perché non curare Charlie fino alla fine
mercoledì 5 luglio 2017

Caro Avvenire,

caso pietoso e molto coinvolgente quello del neonato Charlie. Da medico penso che se i colleghi inglesi sono orientati a sospendere i trattamenti è perché l’esperienza clinica li considera inutili e inefficaci e forse sono intenzionati a evitare un possibile accanimento terapeutico. Come sempre avviene quando tutto passa alla bagarre giornalistica, si perde il vero nocciolo della questione perché tutto viene rivestito da interessi estranei e di solito partitici.

Santo Bressani

Caro dottor Bressani, a me pare invece che questa volta la bagarre giornalistica non c’entri. A Londra c’è un bambino con una rara malattia genetica, che viene mantenuto in vita con un respiratore, alimentato e idratato con un sondino, ma non è in stato di morte cerebrale. I medici, e poi i giudici, hanno sancito che bisogna dargli la morte perché forse il bambino soffre, e al momento non esistono per lui alcuna terapia né prospettiva di guarigione. Questa affermazione viene messa in dubbio presso un centro specialistico del “Presbyterian hospital” di New York, dove, come ha scritto ieri “Avvenire”, già è in cura un bambino con una variante della malattia di Charlie. Ma, quando anche questa ipotesi risultasse impraticabile, resta che a Londra si vuole dare una morte compassionevole a un bambino che non è in morte cerebrale, e contro la volontà del padre e della madre.

A me sembra che – al di là del senso di ingiustizia che la vicenda umanamente ridesta, a fronte della strenua opposizione dei genitori – abbandonare il piccolo Charlie sarebbe anche un affermare che è lecito lasciare morire i malati non autonomi, e affetti da patologie senza speranza. Ora, quanti handicappati gravi o persone in stato vegetativo dipendono da un sondino, e per quanti di loro si potrebbe con anche con maggiore certezza che su Charlie affermare che non c’è alcuna prospettiva? Ciò che perfino un nostro lettore assiduo, e medico, come il dottor Bressani sembra non comprendere è lo scenario che la vicenda del “Great Ormond Street Hospital” spalanca.

Da sempre si sa che ci sono handicappati e malati senza possibilità di guarigione, e tuttavia in tutti gli ospedali del mondo li si assiste, li si cura, li si nutre, sino alla fine. Che questo principio venga ora messo in discussione, e forse anche per ragioni di spesa della sanità pubblica, dai medici, e che diversi collegi giudicanti inglesi e internazionali nulla abbiano da obiettare, è un precedente che spaventa. Per noi tutti, e non solo per il bambino che forse, senza l’insorgere sul web di tanta gente “comune”, sarebbe già morto. Nella piena osservanza dei dettami di certa scienza medica stranamente rassegnata in questi casi alla morte, e perfino di una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo.

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