Le preoccupazioni di Quartapelle e Bentivogli per la guerra in atto e per chi manifesta e si prepara a farlo di più perché si fermino le armi. Sono importanti, come quelle di diversi opinionisti che usano anche il vetriolo. Ma la mobilitazione che cresce va presa sul serio e nessuno dall’alto può dettarle copioni…
Caro direttore,
la principale minaccia alla pace globale oggi è Vladimir Putin. È Putin che, dichiarando guerra all’Ucraina, ha stracciato il principio dell’inviolabilità dei confini e del rispetto dell’integrità territoriale delle nazioni, alla base della Carta delle Nazioni Unite e dell’ordine globale emerso dopo la Seconda guerra mondiale. È Putin che torna a bombardare aree urbane ucraine. La guerra in corso è orribile e non si può lasciare che ci si abitui all’indifferenza. Con la stessa energia con cui abbiamo reagito all’invasione russa il 24 febbraio, va fatta ogni pressione sulla Russia affinché «abbandoni la prepotenza che ha scatenato la guerra», come ha detto il presidente Mattarella da Assisi il 4 ottobre. A chiederlo per primi sono gli stessi cittadini ucraini, perché sono loro a subire sulla propria pelle gli effetti di questa guerra. Per questo, approfitto dell’ospitalità del suo giornale per avanzare una proposta alla società civile italiana che sta organizzando le manifestazioni a cominciare da quelle indette dal 21 al 23 ottobre. Sono moltissime le organizzazioni che in questi mesi si sono mobilitate insieme e a sostegno della società civile ucraina, con iniziative umanitarie come la Carovana della pace o la delegazione delle Acli e della Caritas che continuano a portare aiuti umanitari, o iniziative come la marcia Mean organizzata a Kiev a luglio o come quella del Movimento nonviolento a settembre. Sarebbe necessario e altrettanto significativo se tutte le prossime manifestazioni venissero organizzate partendo dal coinvolgimento della comunità ucraina in Italia e delle tante associazioni che la animano e che in questi mesi si sono prodigate per aiutare da qui l’Ucraina. Le manifestazioni servono perché «la mobilitazione di massa delle persone comuni in diversi Paesi del mondo e la loro voce congiunta possono cambiare la storia più velocemente dell’intervento dell’Onu», come ha scritto Olexandra Matviychuk, direttrice del Centro per le libertà civili di Kiev, pochi minuti dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la pace, insieme all’organizzazione russa Memorial e all’attivista e prigioniero politico bielorusso Ales Bialiatski. Il grido di dolore contro la guerra avrà una forza diversa se queste manifestazioni si apriranno con la voce dei cittadini ucraini vittime della guerra. È per loro e insieme a loro che ci si mobilita contro l’aggressione russa e per la pace.
Lia Quartapelle deputata del Pd
Caro direttore,
proprio quando la minaccia è reale, la reazione necessita di razionalità e lucidità e di un minimo di verità. E oggi la consistenza del rischio di una guerra nucleare è concreto proprio perché Putin sta accumulando sconfitte militari e un crescente dissenso e impoverimento del suo popolo. La pace non la costruiscono solo i governi, e non può non essere parte di una strategia di mobilitazione – che non significa solo “piazze” – dei mondi vitali di ogni Paese. Non è un caso che il Nobel per la pace sia stato assegnato per il 2022 all’attivista bielorusso Ales Bialiatski, all’organizzazione per i diritti umani russa “Memorial” e all’associazione per i diritti umani ucraina “Centro per le Libertà civili” con motivazioni che sottolineano l'impegno «in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere, di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere, per aver documentato crimini di guerra». Manifestare per la pace è giusto, ma senza cadere nell’equivoco del neutralismo che mette Russia e Ucraina sullo stesso piano e senza dimenticare che c’è un invasore che pensa che con le armi sia lecito modificare i confini tra gli Stati. Abbiamo sempre denunciato le iniziative imperialiste degli Usa in giro per il mondo e non si può balbettare quando a compierle è Putin. E se è vero che dal 2014 l’Europa e l’Occidente hanno fatto poco per evitare la guerra e contrastare l’imperialismo di Putin, lo è altrettanto che la pace non è una resa né “essere lasciati in pace”. Temo che non si rifletta sul tentativo – che mette insieme politici come Salvini e Conte – di rappresentare stati d’animo che con la pace hanno poco a che vedere: il disagio e la paura di chi è stato portato a considerare scontate proprio la pace, la sicurezza, il benessere e la democrazia. Il passo successivo è considerare come “disturbo o fastidio” la resistenza ucraina perché in grado di mettere in discussione queste certezze per noi stessi. Serve certamente un’iniziativa politica per il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe di Putin dall’Ucraina. Per questo anch’io sono stato a Kiev con il Mean. Il conto della guerra è ancora una volta la vita e la morte dei poveri, di entrambi gli Stati, e non ci saranno vincitori. Bisogna rendere reversibile ciò che Putin riteneva scontato e derubricare, nei fatti, qualsiasi possibilità di arrivare a una guerra nucleare. Ora, con più determinazione, in campo i Governi ma anche la società civile. Noi, con chi vorrà, cominceremo dopodomani a Roma alle 18,30, davanti all’ambasciata di Russia.
Marco Bentivogli coordinatore di Base Italia
Ringrazio Lia Quartapelle e Marco Bentivogli per le loro riflessioni e per aver condiviso con me e con i lettori di “Avvenire” le rispettive distinte preoccupazioni per l’aggravarsi della guerra in Ucraina e anche pensieri sulle manifestazioni di solidarietà e per la pace che continuano a tenersi in Italia e in cammino verso il Paese invaso da quasi otto mesi e in guerra da più di otto anni. Iniziative che l’escalation folle del conflitto sta rendendo più intense e visibili in questo drammatico autunno. Poiché l’onorevole Quartapelle, che so animata da passione sincera, richiama alcune parole del capo dello Stato ad Assisi, il 4 ottobre, mi permetto di ricordare la citazione completa, che trovo in sintonia profonda col magistero di papa Francesco sulla guerra e su questa guerra (si pensi solo al triplice appello che il Pontefice ha scandito nell’Angelus del 2 ottobre, usando parole precise sia per Putin sia per Zelensky, ma anche per i «protagonisti della vita internazionale » e i «responsabili politici delle nazioni ». Questa citazione del presidente Mattarella si apre con un’idea che – come i lettori sanno – mi è particolarmente cara: «Non ci arrendiamo alla logica di guerra, che consuma la ragione e la vita delle persone e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni. Che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione. E allora la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra. E allora il dialogo. Per interrompere questa spirale». Parole chiarissime, ma illuminate ulteriormente da queste altre: «Pace, libertà, giustizia, democrazia si difendono con strumenti di pace, di libertà, di giustizia, di democrazia. I mezzi sono parte dei fini; e devono essere con essi coerenti». All’amico Bentivogli, lucido e incalzante come sempre, vorrei ricordare – ma so che lo sa – che una delle ferite aperte tra politici e cittadini è proprio la mancata “rappresentanza” dei sentimenti e delle maturate convinzioni di tanta parte della nostra gente contro l’adesione italiana alla «logica della guerra» e alla sua pratica. Vedremo chi saprà sanarla davvero, con l’umiltà, la coerenza e l’efficacia che sino a oggi non si sono viste. Una sfida che riguarda tutti i soggetti politici, ma qualcuno di più. Comunque, mi spingo a scrivere, il problema non è e non sarà la «resistenza ucraina », come pure Bentivogli teme. Il problema è – e sta diventando sempre più evidente – l’azione devastante del “partito della guerra” a Mosca, come a Kiev e come in diverse altri capitali (non solo) d’Occidente ogni volta che riprende la spinta al negoziato. Che è difficile, ma possibile. E non deve essere ancora, questo sì, neutralizzato... Un’ultima annotazione, la rivolgo a tutti coloro che hanno responsabilità politiche o, come me, spendono opinioni mettendoci alcuni la faccia e altri, più o meno elegantemente, il vetriolo. Gli uomini e le donne che stanno organizzando una miriade di eventi per la pace e ne progettano di più grandi e articolati e anche – e finalmente! – una grande manifestazione unitaria hanno bisogno di tutto meno che di lezioni di opportunità politica e di copioni dettati dall’alto. Le armi devono fermarsi, perché continuare a usarle e ad aumentarle spinge al punto di non ritorno in una guerra che nessuno può vincere e tutti noi europei continentali stiamo perdendo (assieme a un bel po’ di poveri del mondo). Chi ha potere e dovere politico e vuole davvero la pace, deve prendersi questa responsabilità e lavorare per ottenere questo risultato non per tenere spianate e moltiplicare le bocche da fuoco. Serve ascoltare la voce del Papa. E quelle dei grandi saggi – come il presidente Mattarella. Serve ascoltare la voce, profondamente accordata con quella di Francesco, del popolo della pace che si oppone al “partito della guerra”. Dopo lunghi atroci mesi di follia bellica, di dolore, di morte, di devastazioni, sin sull’orlo dell’abisso nucleare (ora evocato con allarme dallo stesso presidente degli Usa) serve ascoltarlo e capire ciò che chiede, invece di pretendere di arruolarlo o, comunque, di schierarlo secondo schemi di comodo.