Ansa
Gentile direttore,
da pensionato comprendo e condivido le proteste delle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, in particolare di Spi, Fnp e Uilp, rivolte a questo Governo (non dimenticando che gli stessi rimproveri sindacali non sono stati risparmiati nemmeno ai precedenti governi) per non aver migliorato le condizioni di vita delle persone anziane che per effetto della perdita, negli ultimi dieci anni, di oltre il 30% del potere d’acquisto delle pensioni, un altissimo numero di pensionate e pensionati sono entrati nel tunnel (senza uscita) della povertà. Gli oltre sedici milioni di pensionati in Italia (di questi circa un milione e ottocentomila in Veneto) per la politica diventano strumentalmente 'visibili' soltanto negli appuntamenti elettorali.
Da decenni tutti i soggetti interessati (Governo, politici, sindacati, imprenditori, Inps...) sono consapevoli che, inevitabilmente, dopo la riforma Dini del 1995 e la controriforma Monti-Fornero del 2012, c’è l’urgentissima necessità di istituire il «tavolo di concertazione » per una «riforma epocale della previdenza». Una positiva riforma di straordinario impatto sociale e di equità sui seguenti versanti: parità di genere (nel raffronto con gli uomini, attualmente il valore pensionistico delle donne è inferiore di circa il 40%); certezza pensionistica per i giovani (gli anziani di domani); riduzione dei requisiti (soprattutto quello dell’età anagrafica) per il pensionamento; adeguamento automatico annuale del valore economico delle pensioni, da calcolare sulla generalizzata e totale inflazione (non parziale come purtroppo è stata sempre utilizzata per la perequazione delle pensioni) e tenendo in dovuta considerazione gli elevati costi della compartecipazione che gli anziani, quasi ogni giorno, devono sborsare di tasca propria, per cure sanitarie e/o per prestazioni assistenziali; contrasto alle evasioni fiscali e contributive; riduzione del debito pubblico; distinzione e netta separazione tra previdenza e assistenza (quest’ultima deve ritornare a essere a totale carico dello Stato) sul bilancio e sul patrimonio dell’ Inps; intreccio armonioso della previdenza con il welfare generativo; anticipazioni pensionistiche nelle situazioni di crisi aziendali, da intrecciare a effettivi progetti di attività sociale, di volontariato e di invecchiamento attivo. Non c’è più tempo da perdere, le fumose e noiose dichiarazioni di pelosa buona volontà, devono essere superate, appunto da una «riforma epocale della previdenza».
Franco Piacentini
Gentile signor Piacentini,
le rispondo su sollecitazione del direttore dicendomi pienamente d’accordo sulla necessità che il governo apra un ampio confronto con le parti sociali sul sistema previdenziale. Come abbiamo già sottolineato proprio in questo spazio di dialogo coi lettori la fine della sperimentazione di Quota 100 non può essere drasticamente anticipata nonostante le molte criticità emerse. Sarebbe, però, un delitto sprecare i prossimi due anni senza progettare e concordare una riforma che assicuri al sistema previdenziale insieme maggiore equità e sostenibilità. Lei elenca una serie di questioni, corrispondenti ad altrettante "sofferenze" sul piano sociale, tutte meritevoli di trovare una risposta che non guardi solo alla contingenza di un triennio o, peggio, delle prossime elezioni politiche ma abbiano il respiro almeno di qualche decennio. Per questo occorre pure da parte dei sindacati la lungimiranza di guardare anche oltre la propria base di iscritti, per la grandissima parte costituita da pensionati e lavoratori vicini alla quiescenza. Consapevoli in particolare del preoccupante quadro demografico del Paese, con un rapporto tra lavoratori attivi e pensionati che si avvicinerà a 1 a 1 nel giro di un ventennio, e del progressivo impoverimento che nel nuovo secolo ha pesantemente interessato più i giovani degli anziani, i lavoratori precari rispetto ai pensionati, le famiglie con figli piuttosto dei singoli.
Occorre dunque apertura progettuale e disponibilità a un confronto senza pregiudiziali e sterili arroccamenti. Non solo del sindacato, ma anzitutto da parte del governo e delle forze politiche della maggioranza. E qui si arriva certamente alla questione più problematica e dolente. Una maggioranza così composita, capace di dividersi prima ancora che sui progetti futuri sul giudizio di quelli assunti in passato – da Quota 100 al Jobs act, dal Reddito di cittadinanza ai decreti sicurezza, indietro fino alla Buona scuola – sarà in grado di produrre una posizione comune su cui confrontarsi con le parti sociali? La risposta temo sia negativa. Per il governo, ammesso che voglia davvero impegnarsi in questa difficile partita, resta da giocare una sola carta: quella di affidarsi alla capacità maieutica della trattativa stessa, facendo emergere al tavolo del confronto – grazie ai contributi delle parti sociali e alle analisi di esperti – soluzioni realistiche e condivisibili, da "imporre" poi alla maggioranza stessa perché siano trasformate in legge in Parlamento. Certo, non è facile, forse è al limite dell’impossibile. Anche per la mancanza in questo momento non solo nel M5s ma anche in tutto il centrosinistra di leader politici riconosciuti, in grado di far valere il proprio peso all’interno dei singoli partiti e non solo. Non si può mai smettere di sperare, però, che la politica possa arrivare a compiere ciò che è utile e giusto anche quando purtroppo appare inimmaginabile...