Caro direttore,
il dibattito avviato su 'Avvenire' riguardo al Servizio civile costituisce, in questo tempo complesso, uno dei contributi più promettenti e concreti alla costruzione dell’assetto economico e sociale che – siamo in molti oramai a sperarlo – possa uscire migliorato da questa tragedia planetaria. Vorrei perciò intervenire con un apporto centrato non tanto sul 'perché' di un grande progetto di Servizio civile. Trovo infatti che offra motivazioni più che sufficienti l’appello-manifesto dei 53 intellettuali che lei ha lanciato su 'Avvenire', completato dalle intelligenti considerazioni di Livia Turco, dai contributi di Luigi Bobba di altri 'addetti ai lavori' e dall’interlocuzione con uomini politici e di governo, a cominciare dal premier Conte e dal ministro Spadafora. Vorrei invece soffermarmi sul 'come' realizzare una simile ipotesi e aggiungere poi una proposta estensiva, che va al di là dell’universo giovanile.
Il punto cruciale è che l’attuale modalità di operare 'per progetti' non è già ora adeguata e ancor meno lo sarà per un servizio civile potenziato. Prevede complesse procedure, costringe a un lavoro organizzativo ridondante (la progettazione), genera una costante incertezza (l’alea dei risultati del bando) e nel complesso è in gravissima misura inefficiente: non consolida competenze e organizzazione e impatta negativamente sui programmi di medio-lungo periodo delle organizzazioni stesse, che non sanno se possono o meno incorporare in modo stabile le attività realizzate grazie al Servizio civile.
Mi permetto un riferimento, che forse potrà risultare cacofonico a qualche orecchio, ma che a me pare del tutto pertinente: nessun Stato, incluso quello italiano, s’è mai sognato di organizzare 'per progetti' il Servizio militare universale. È infatti impensabile che i vari settori delle Forze armate possano operare senza una stabile organizzazione e una adeguata pianificazione. Qualcuno può immaginare il corpo degli alpini che presenta progetti in competizione coi bersaglieri o coi marinai? Paradossale sino al ridicolo!
Perché allora quella per progetti dovrebbe essere la migliore modalità attuativa del Servizio civile universale? Forse perché bisogna valutare l’interesse pubblico legato a ciascun progetto? Ma gli enti pubblici da un lato e quelli del Terzo settore dall’altro operano tutti per il bene pubblico, svolgendo attività di interesse generale. O forse perché il mondo dei soggetti pubblici e del Terzo settore candidabili alla gestione del servizio civile è vario e numeroso? Non mi pare nemmeno questo un buon motivo. Anzi! Proprio per queste caratteristiche con questo universo andrebbero definite semplici e chiare linee-guida e costruiti 'programmi' anziché richiedere 'progetti', che intasano gli uffici ministeriali e sono giustificati solamente in nome del principio di 'concorrenza', ormai eletto dalla Pubblica amministrazione a sacro idolo della modernità.
Come fare allora? L’art. 55 del Codice del Terzo settore – la prima, vera norma attuativa del principio di sussidiarietà previsto dalla nostra Costituzione – indica la strada maestra della 'co-programmazione', con la quale operare in piena legittimità e trasparenza. Si potrebbe in questo modo arrivare a un sistema grazie al quale agli enti gestori è riconosciuta la possibilità permanente di ingaggiare giovani in servizio civile da integrare, entro le attività ordinarie, per il periodo previsto e da sostituire al termine con nuovi arrivi. Le grandi reti nazionali del Terzo settore, ma anche dell’Amministrazione pubblica (Anci, Upi) potrebbero rappresentare l’interlocutore naturale per mettere a punto un simile, fluido e permanente processo, da accompagnare con adeguati sistemi di controllo e valutazione.
Così impostato, come una grande e articolata macchina per organizzare risorse umane, al servizio del Paese oltre che della crescita personale e dello sviluppo professionale dei nostri giovani, il Servizio civile potrebbe essere ampliato per ricomprendere anche per un’altra categoria di persone. Mi riferisco ai destinatari del Reddito di cittadinanza. Sono convinto che lo svolgimento di attività all’interno di Enti del Terzo settore sarebbe più produttivo, anche al fine del recupero di un lavoro, delle cure degli improbabili 'navigator'. In fondo, si uscì dalla guerra e ci si lanciò nel periodo d’oro della ricostruzione anche con i 'cantieri di lavoro' per i disoccupati. Perché non considerare le molteplici aree di attività di interesse generale affidate dall’articolo 5 del Codice all’universo del Terzo settore, come un grande cantiere per rigenerare il Paese e rientrare dalla disoccupazione?
Presidente Assifero