Se rischi di perdere rovinosamente una partita decisiva e hai un fuoriclasse in panchina, lo fai giocare. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha calato – è stato costretto a calare, come ben si capiva dalla sua espressione mentre pronunciava il severo discorso di martedì sera – l’«asso» Mario Draghi. Adesso, però, la partita prosegue e va giocata. Anzi, va vinta: contro il virus, contro la crisi sociale ed economica che la pandemia ha aggravato. Va vinta per l’Italia e per l’Europa unita. E nessuno, neppure Draghi, può giocarla da solo. Serve la politica, perché in una democrazia parlamentare neanche il più tecnico dei governi è un governo tecnico fino in fondo. E per fortuna. Servono i partiti, quegli stessi partiti che hanno fallito e falliscono puntualmente da anni in termini di affidabilità, di credibilità, di stabilità. Magari cambiano nome, si fondono, si scindono, si alleano, divorziano, ma alla fine falliscono alla prova delle grandi sfide, dei passaggi decisivi.
Dopo il discorso di fine anno del capo dello Stato, quando già da tre settimane spiravano con sempre più forza i venti della crisi del governo Conte II, giunta ora al suo epilogo, abbiamo avuto modo di scrivere del rimpianto per i tempi in cui i partiti politici erano in grado di richiamare e formare alla leadership personalità della statura di Sergio Mattarella. Non è un problema di oggi, purtroppo, ma all’interno di un dramma enorme come quello che stiamo vivendo a causa del Covid-19, il re appare inesorabilmente nudo: cadono, infatti, le chiacchiere buone per i periodi ordinari. E così, ma appunto non per la prima volta, in un momento eccezionale l’Italia deve chiedere aiuto a una "riserva" della Repubblica. Accadde, in contesti diversi ma ugualmente epocali, con Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 e con Mario Monti nel 2011. La Germania, per dire, negli ultimi 16 anni è stata governata da Angela Merkel, leader di un partito votato dagli elettori. Noi le nostre Merkel dobbiamo andare a cercarle fuori dal Parlamento.
Eppure non è sempre stato così. Il Paese ha avuto governi a guida politica che lo portarono dal secondo dopoguerra fin dentro il boom economico, che fondarono la Comunità Europea, che lo traghettarono (certo con fatica e non senza ombre) fuori dai terribili anni di piombo, che cercarono di affrontare (in quel caso naufragando) la tempesta di Tangentopoli, che lo condussero dentro l’unione monetaria che proprio Draghi più tardi ha difeso gagliardamente.
Qualcuno ha ricordato che una delle doti più care a Draghi è il coraggio. Ebbene, è giunto il momento che anche la politica riscopra il coraggio: quello di schierare i competenti e i preparati, anziché chi è più bravo a urlare e a schernire l’avversario; quello di ragionare prima (ma sarebbe meglio invece) di andare a caccia di follower e di like; quello del confronto tra posizioni legittimamente diverse al posto di odiosi discorsi da barricata intrisi di vuota ideologia e privi di idee. Per una Repubblica che abbia sì delle "riserve" di gran prestigio, come il presidente del Consiglio incaricato, ma che torni finalmente ad avere anche dei "titolari".
Per il momento, sarebbe già sufficiente il coraggio di non far mancare i voti all’esecutivo "di alto profilo" al quale Mattarella sta cercando di affidare le redini del Paese. Sono chiamate a una prova di serietà in primo luogo le forze che a Bruxelles sostengono la maggioranza "Ursula", dal nome della presidente Von der Leyen: Pd, Forza Italia e M5s. E in particolare quest’ultimo, partito di maggioranza relativa nell’attuale Parlamento, che deve finalmente far capire che cosa vuole fare "da grande". Ma ovviamente nessuno è escluso dall’appello alla responsabilità lanciato dal Quirinale.
Nemmeno la Lega e Fratelli d’Italia. Ragionare ora secondo i criteri del "tanto peggio tanto meglio" non sarebbe meno disonorevole dello spettacolo offerto fino a due giorni fa dai cosiddetti giallo-rossi.
«La consapevolezza dell’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione», ha sottolineato ieri Draghi, dopo aver accettato con riserva l’incarico. Lui ci ha messo la faccia. La politica ha un’altra occasione per non perderla del tutto.