Lorella Leoni
Caro direttore, dopo un’accurata riflessione, vorremmo replicare alla lettera dei signori Fraschetti e alla sua risposta del 26 marzo scorso a proposito della nostra scuola materna di Roma. Riteniamo che i concetti contenuti in quei testi neghino il nostro importante e quanto mai profondo ruolo pedagogico, il nostro ruolo formativo ed educativo, lo usurpino, lo estinguano, lo annullino. La lettura di quei concetti ha lasciato tutte noi, funzionario educativo e insegnanti, basite.Noi viviamo, lavoriamo, frequentiamo, amiamo e accogliamo all’interno di una scuola che ha ben chiari i Valori di Dignità, Rispetto e, soprattutto, Comprensione Empatica verso ognuno. La nostra scuola rispecchia semplicemente la nostra società; è una scuola aderente alla realtà che ci circonda, a una realtà che i bambini "respirano" e rispecchiano. Una scuola, una società che si definisce non solo attraverso pregi ma anche attraverso limiti, essenziali ai fini della crescita. Ci rifiutiamo di abbracciare la Società dell’Apparenza, la Società Ideale, la Società del "Mulino Bianco": tutto questo preferiamo lasciarlo a chi "difensivamente" va avanti, nel cammino della vita, con i "paraocchi"; ma, seppur in linea con i tempi che cambiano, amiamo, con tutta la passione e competenza che ci contraddistinguono e che ci hanno portato a essere nel luogo e nel ruolo in cui siamo, una scuola "di Tutti e di Ciascuno" che ha come caposaldo il rispetto per l’altro.I Nostri Bambini ereditano un ricco passato, ma, non dimentichiamolo, sono anche presente e si accingono, nel lungo cammino della vita, a guardare, con occhi speranzosi, al futuro. Speranzosi di potersi identificare con un adulto in grado di guardare l’altro non come "Normale" ma semplicemente come Diverso, e, altresì, un adulto in grado di nutrirsi e arricchirsi, unicamente, grazie a questa diversità! Cordiali salutiIl Funzionario dei Servizi Educativie il Collegio Docenti della scuola materna comunale "Fratelli Bandiera" di Roma
I signori Luca e Stefania Fraschetti nella lettera alla quale ho risposto lo scorso 26 marzo hanno segnalato, e commentato con amarezza, il fatto che nella scuola materna frequentata dalla loro figlia «nel mese di novembre 2010 il collegio dei docenti, senza coinvolgere i genitori, ha deliberato di abolire i lavori realizzati dai bambini per tutte le feste dell’anno (Natale, Pasqua, festa del Papà, festa della Mamma, ecc...). In questa lista non è però menzionata Halloween...». E ancora che «nel verbale non veniva riportata alcuna motivazione» di tale decisione. Nelle loro parole ho trovato una civile protesta e una seria attesa, non contumelie. Non capisco, quindi, perché la signora Leoni parli di volontà di «screditare» qualcuno. E non capisco neppure perché «funzionario» e «docenti» (la lettera è firmata solo così, senza nomi, e io – fidandomi – la prendo per buona...) spendano tante parole senza rispondere alla questione: hanno o no abolito i "lavoretti" dei bambini per le feste tradizionali italiane legate alla cultura cristiana di questo nostro Paese? Hanno o non hanno cancellato questi "tempi forti" dell’anno dalla programmazione di qualificanti attività didattiche? Se dovessi stare alla parentesi contenuta nella lettera della signora Leoni, sembrerebbe che aboliti siano stati solo i "lavoretti" fatti non dai bambini, ma dalle insegnanti. E, dunque, staremmo parlando di tutt’altra cosa. Anzi, il caso sarebbe inesistente.Ma stranamente i docenti nulla precisano e nulla dicono a questo proposito. È tuttavia chiarissimo che, nella loro replica, tra molti rimandi maiuscoli alla Società dell’Apparenza, dell’Ideale e del Mulino Bianco non c’è la più minuscola traccia della Festa della Mamma o del Natale di Gesù o della Pasqua di Risurrezione. Voglio dire, insomma, che certamente condivido con chi mi ha scritto il richiamo ai valori della «dignità» e del «rispetto» (e non nascondo che potrei entusiasmarmi anch’io per una proclamata vocazione alla «Comprensione Empatica» nei confronti di chiunque), ma mi chiedo come sia possibile che i figli nostri e i figli di chi viene a vivere tra noi – coloro che ad Avvenire chiamiamo i "nuovi italiani" – ereditino (o abbiano comunque nella loro disponibilità) un «ricco passato» se il nostro calendario – frutto di vita comunitaria, di storia, di cultura – viene sostanzialmente azzerato in un presente (e in un’esperienza formativa) senza più quei segni forti. Essere accoglienti e ospitali non significa rinunciare a essere noi stessi, anzi è vero il contrario. So infatti, anche per esperienza diretta, che è più facile amare e «non giudicare» aprioristicamente gli altri e ogni «differenza» quando si ha serenamente cara la propria identità. Ricambio i cordiali saluti. E anticipo gli auguri di buona Pasqua.