Tre ordinazioni episcopali in pochi giorni – Avvenire ne ha dato puntualmente notizia – segnano una svolta nei rapporti tra Santa Sede e Cina. Dopo quella del 25 gennaio a Zhengzhou (Henan), dove è stato ordinato Taddeo Wang Yuesheng, il 29 è stata la volta di Antonio Sun Wenjun nella nuova diocesi di Weifang (Shandong) e infine ieri di Pietro Wu Yishun ordinato vescovo di Shaowu (Minbei, Fujian). Se è vero che tre indizi fanno una prova, queste ordinazioni episcopali indicano un nuovo clima nei rapporti sino-vaticani. Tanto più che non ce ne sono state da oltre due anni, mentre due vescovi sono stati trasferiti ad altra diocesi senza il consenso di Roma. Tra gli altri di segni di novità, l’annuncio pubblico dell’approvazione del Papa durante le ordinazioni e, nel caso di Weifang, la creazione di una nuova diocesi: ciò significa che anche altre difficoltà sono state appianate. Non sappiamo come si sia arrivati a questo punto, ma certamente non c’è stata la rottura pretesa da molti dopo le difficoltà degli ultimi anni e i fatti danno ragione a questa scelta. Le tre ordinazioni non segnano un punto di arrivo – il cammino da fare è ancora lungo, come ha sottolineato più volte il cardinale Pietro Parolin – ma confermano che la strada del dialogo produce risultati e fanno pensare che le due parti vogliano percorrerla con un ritmo più veloce.
Oltre a occuparsi delle nomine dei vescovi, il dialogo sino-vaticano tocca oggi anche altri campi. Riguardo al cambiamento climatico ci sono stati segni di apprezzamento da parte cinese per le decise prese di posizione di papa Francesco con la «Laudato si’», la «Laudate Deum» e in vista della Cop28 di Dubai. Ancora più importante è la convergenza sul terreno della pace, di cui il viaggio del cardinale Matteo Maria Zuppi a Pechino nello scorso settembre è stato solo l’espressione più visibile. Non è certo in vista un’“alleanza” tra Roma e Pechino. Ma le forti preoccupazioni del Papa e della Santa Sede per la pace nel mondo e per il bene dell’umanità incrociano inevitabilmente la strada di chiunque possa compiere scelte che – anche solo in parte – rispondano a tali preoccupazioni. E la vastità dei suoi interessi obbliga sempre di più la Cina sia a prendere posizione in molte situazioni di crisi sia ad affrontare questioni “globali” come quella dell’ambiente.
Negli Stati Uniti e in Europa, il dialogo tra Santa Sede e Cina è visto con diffidenza. Dopo il 1989, soprattutto da parte americana, è prevalsa la convinzione che il libero mercato avrebbe portato automaticamente la Cina alla democrazia. Il caso cinese, invece, ha mostrato che è possibile conciliare un forte controllo del Partito comunista e dinamiche economiche capitalistiche. Di qui una grande delusione occidentale. In realtà, quella convinzione aveva basi fragili: in Occidente la democrazia non è nata dal libero mercato, ha radici molto più profonde (cui non è stato estraneo il cristianesimo) ed è difficile che il solo libero mercato porti alla democrazia in un contesto storico tanto diverso. A seguito di tale delusione, da una competizione soft si è passati ad un conflitto sempre più aspro: è cominciato con Obama, è stato adottato pienamente da Trump ed è proseguito nei primi anni della presidenza Biden. Si è visto perciò con fastidio che la Santa Sede, rimasta estranea questa altalena di illusioni e delusioni, non abbia condiviso la strada del conflitto: si è mossa, infatti, sulla base di altre motivazioni, in primo luogo il bene dei cattolici in Cina. Ma se la Chiesa cattolica appare spesso estranea alle urgenze dell’attualità politica, la specificità della sua missione la mette in sintonia con correnti storiche profonde, come notava La Pira, e le sue dissonanze dal mainstream dell’Occidente possono aiutare quest’ultimo a trovare prospettive inattese in situazioni apparentemente inestricabili.
Qualcosa oggi sembra cambiare anche nell’atteggiamento americano verso la Cina. A partire dalla visita di Bliken nel giugno scorso, altri rappresentanti americani hanno visitato Pechino, Biden e Xi si sono incontrati a San Francisco e, pochi giorni fa, Jake Sullivan e Wang Yi si sono visti a Bangkok. È previsto un nuovo incontro “virtuale” tra i due presidenti in primavera. Il mondo non sta andando verso un nuovo bipolarismo, ma gli Stati Uniti riconoscono il maggior ruolo internazionale di Pechino e cercano di coinvolgerla nel governo delle crisi internazionali: negli ultimi mesi hanno chiesto alla Cina di fermare la Russia in Ucraina, controllare la Corea del Nord, dissuadere l’Iran da un’escalation in Medio Oriente, bloccare gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. Non è da escludere che il cattolico Joe Biden abbia scelto questo approccio anche interrogandosi sulla politica “dissonante” di papa Francesco e della Santa Sede.
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