La serie tv "Messiah" e la domanda: se Gesù tornasse io dove sarei?
mercoledì 22 gennaio 2020

In una Damasco assediata dal Daesh e prossima alla caduta, un uomo non si stanca di predicare di non aver paura, ma di seguire la volontà di Dio, abbandonandosi a Lui. È Isa – Gesù in arabo – o meglio al-Masih, il Messia? O si tratta solo di un altro falso profeta, peggio di un piccolo illusionista con turbe mentali, che dalla Terra Santa agli Stati Uniti intende sovvertire il mondo intero, creando un caos globale?

La serie di Netflix 'Messiah', disponibile da inizio anno, non è solo avvincente e spettacolare, ma per l’argomento trattato è in grado di suscitare riflessioni profonde sul piano umano e, per un credente, rimandare alle domande ultime. Riaccendendole nelle nostre coscienze, spesso sopite tra formalismi, ipocrisie e lotte persino tra fratelli nella fede. L’intera serie – 10 episodi questa prima stagione (ne ha parlato su Avvenire Andrea Fagioli) – si snoda infatti lungo l’interrogativo su chi sia questo personaggio apparso all’improvviso: il Messia tornato sulla Terra a predicare la conversione prima della fine dei tempi, appunto, o un pericoloso imbroglione amico di terroristi? E le sue manifestazioni sono trucchi assai ben realizzati o veri miracoli, epifanie affinché tutti possano riconoscere il suo essere figlio di Dio? Del Dio unico, senza distinzioni tra ebrei, musulmani e cristiani, quello che ha mandato suo figlio non per insegnarci a pregare in un modo o nell’altro, ma per «camminare a fianco di tutti gli uomini», figli di un unico Padre e perciò fratelli.

Così sono molte le questioni che la serie, letta in filigrana, finisce per smuovere nella coscienza di uno spettatore credente. A cominciare da alcuni interrogativi chiave: 'Se oggi Cristo tornasse in mezzo a noi, lo riconosceremmo? E da che cosa: da parole di pace e comportamenti improntati all’amore o avremmo ancora bisogno di segni forti, di miracoli eclatanti, spettacolari? Ancora, quale fede il Messia ritornato troverebbe non solo sulla Terra in generale, tra guerre fratricide e iniquità mondiali, ma dentro ciascuno di noi? E avremmo alla fine il coraggio di abbandonare i nostri culti («oggi ognuno ne ha uno: il denaro, il potere, anche solo il lavoro…», dice al-Masih, dimostrandosi capace di leggere dentro il cuore delle persone che via via incontra, come Gesù con la Samaritana al pozzo). Senza svelare troppo della trama, va detto che la serie ha per co-protagonisti agenti della Cia, dello Shin Bet, giudici americani, politici sinceri e corrotti, un Presidente Usa che appartiene alla Chiesa dei Santi degli ultimi giorni (i mormoni) e coinvolge via via imam devoti e terroristi, assieme a un pastore evangelico in piena crisi di identità, fedeli di diverse confessioni e, solo sullo sfondo, una tiepida Chiesa cattolica romana (un cardinale annuncia in San Pietro che «Papa Alessandro riunirà una commissione per valutare i fatti»…).

Più ancora che il Messia, in verità di non molte parole, almeno non quante ne vorremmo sentire, sono proprio questi personaggi – a partire da alcuni ragazzi che via via al-Masiah chiama sostanzialmente come discepoli – a intessere l’ordito della vicenda e a rappresentare il riflesso della nostra condizione di credenti imperfetti o di vuoti devoti, di scettici in ricerca o di delusi incattiviti. Tutte queste persone, nella serie, vengono 'toccate' o anche solo 'avvicinate' da Dio. Si trovano faccia a faccia con Chi è capace di leggere il dolore e la finitezza nel profondo del loro cuore e, tendendogli la mano, chiede solo un atto di fede per lenire le sofferenze e dare un senso a tutto. Già, ma perché questo si realizzi occorre credere davvero e per farlo abbandonare se stessi e affidarsi completamente. È ciò che, alla fine, al di là di ogni convinzione e pratica di fede, rimane l’atto per noi più difficile da compiere eppure fondamentale per chi voglia realmente incontrare Dio.

Leggendo il Vangelo, capita a tanti di chiedersi 'dove sarei stato io?', duemila anni fa: fra i discepoli di Gesù o nella folla a gridare 'Barabba'; tra i delusi per un Messia poco combattivo che non rovescia i potenti dai troni o colmo della fede dell’emorroissa; incapace di abbandonare le certezze come il giovane ricco o fedele nella sequela fino a dare la vita quanto Stefano e i martiri?

Una serie tv come Messiah ovviamente non rappresenta il Vangelo, è certamente eterodossa e anche un po’ ingenuamente (o volutamente?) sincretista. Però ha un grande pregio, al di là di quelli artistici: suscita in chi la guarda domande fondamentali che nella frenesia quotidiana dei nostri 'piccoli culti' tendiamo a non farci più o a relegare ai momenti critici della nostra vita. Chi è il Messia per noi? Come lo stiamo aspettando? Come lo riconosceremmo, se tornasse? E dove lo incontriamo già oggi, quanto tendiamo la nostra mano per dirgli il nostro sì? Perché «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

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