Nei giorni scorsi l’Autorità di Garanzia delle Comunicazioni (Agcom) ha pubblicato le 'Linee guida' per verificare sui media l’osservanza del divieto di pubblicità al gioco d’azzardo. Eliminare spot e sollecitazioni occulte sono misure del decreto Dignità, richieste dal Terzo settore e dalla ricerca scientifica alle istituzioni: per contrastare il grave impatto di «intrattenimenti a soldi» sulla dimensione sociale e individuale. La lettura del testo di Agcom tuttavia rivela quanta strada Governo e Parlamento devono ancora battere per far scomparire il richiamo propagandistico a un consumo che causa gravi danni, oramai riconosciuti anche dallo Stato. I margini ai poteri dell’Autorità sono insufficienti, ma non di meno il testo delle Linee guida lascia stupiti persino per l’uso delle parole. I redattori indicano l’oggetto da disciplinare come «gioco a pagamento». Il problema correlato è citato come «ludopatia ». Oltre all’ambiguità (anche un giro alle giostre è «gioco a pagamento») si nota una significativa distanza rispetto alla norma in vigore, che invece recita: «Nelle leggi e negli altri atti normativi, nonché negli atti e nelle comunicazioni comunque effettuate su qualunque mezzo, i disturbi correlati a giochi o scommesse con vincite di denaro sono definiti 'disturbi da gioco d’azzardo (Dga)'». Strano che a dei giuristi sia sfuggita questa 'prescrizione' stringente. C hi ha scritto il regolamento lo indirizza alla protezione delle «categorie vulnerabili» (testuale), ma il divieto di pubblicità è ai fini di difesa sociale, perché ogni cittadino sia tutelato dal rischio della patologia da gioco d’azzardo. Le manomissioni nell’uso delle parole, del resto, sono una colonna dell’edificio del gambling industriale: slot machine come «apparecchi da intrattenimento », casinò on line come «giochi di abilità a distanza», poker e scommesse come «skill game». E dunque l’azzardo come gratuità, uso piacevole del tempo. Ora l’Agcom propone un lemma «gioco a pagamento» e rilancia il termine «ludopatia». D opo la questione 'lessicale' addentriamoci nella Delibera. In un passo è scritto: «Il logo e il riferimento ai servizi di gioco» e «la mera esposizione delle vincite realizzate presso un punto vendita che offre servizi di gioco sono consentiti solo se effettuati con modalità, anche grafiche e dimensionali, tali da non configurare una forma di induzione al gioco a pagamento». Cosa significa? Ad esempio, non costituisce pubblicità l’esporre la notizia che un clien- te lì, proprio lì, ha grattato il tagliando fortunato o ha incassato una vincita di scommessa in quella tabaccheria o al botteghino. L’Authority lascia aperta un’uscita di sicurezza 'commerciale'. Le scienze hanno documentato le trappole mentali di simili messaggi: proprio quei trabocchetti che il marketing pone al centro delle strategie di vendita di ogni bene o servizio. Rientra tra mere «informazioni di prodotto», l’atto di esporre nel negozio gli episodi di clienti 'fortunati', a mo’ di esempio della concretezza delle vincite attese? Lasciamo le strade delle città e accendiamo la tv, per un canale dedicato alla roulette: WingaTV. È una televendita di gioco d’azzardo – gli spettatori puntano live sui numeri – con il croupier-conduttore che espone il nick name dei vincitori, corredato delle somme. La norma del decreto Dignità sorvolerà sul dettaglio? Facile intuire il veloce moltiplicarsi di canali della vendita a distanza di gambling. osì dunque i pensieri erronei (come gli psicoterapeuti chiamano le pulsioni a tentare la sorte) possono venire tranquillamente sfruttati dall’industria dei giochi a C soldi. Si incrementano lecitamente le vendite con l’inganno dei numeri ritardatari alle estrazioni, e s’incoraggia la propensione a premiare altri scommettitori tra le quattro mura della sala betting e delle slot machine dove qualcuno è uscito con le tasche piene. Insomma, la 'fallacia di Montecarlo' – inseguire il numero 'ritardatario' e ottenere una 'sicura' vincita – non esiste o non ha rilevanza giuridica. I programmi radiotelevisivi e tutti i media, inoltre, potranno interpolare le trasmissioni di eventi sportivi con spot che indicano le quote delle scommesse ' in progress'. Ed è proprio tale informazione sulle quotazioni (id est: le probabilità di successo stimate dai bookmakers) a essere il fulcro dell’induzione a scommettere. Nel testo delle Linee guida si trova anche (dettaglio interessante) l’uso del termine bookmaker. A questo punto si comprende che occorrono urgenti norme di legge per sanzionare la pubblicità che viola lo spirito della legge. Sostanzialmente aggirato il divieto di pubblicità con l’espediente di lasciare fuori dei luoghi dove si valuta il confine della pubblicità al gioco d’azzardo, la let- teratura scientifica sulla manipolazione psicologica. Altro doppio messaggio che squalifica il lavoro dei clinici, quando essi si sforzano di trarre in salvo i loro pazienti dai pensieri ossessivi della ricompensa cercata al gioco. I n termini istituzionali, un potere di governo, il ministero della Salute, dispone le cure per la dipendenza dal gambling. Ma restano solidi scudi alle imprese che lucrano sulle trappole della mente. In sostanza è andata meglio ai concessionari delle scommesse che ai fabbricanti-distributori di sigarette. Per questi ultimi il divieto di marketing e pubblicità resta assoluto, e le procedure di controllo sono, per fortuna, molto stringenti. Basterebbe a questo punto, semplicemente con un decreto del ministro della Salute, tradurre nel gioco d’azzardo le regole in vigore da 14 anni per il tabacco. Regolare in modo serio non è certamente 'proibizionismo'. L inee guida e 'modalità attuative' che dir si voglia, quel che Agcom ha deliberato è il presupposto per comminare le sanzioni alle società che violassero il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni al gioco d’azzardo. Un’esplorazione attenta del testo ci fa rinvenire una mano sapiente che tuttavia ha operato sottili distinguo, impiegato parole e concetti – taluni ambigui altri vistosamente devianti – per lasciare ampio spazio alla promozione del ciclo d’affari del gambling. Con precisione chirurgica si è mantenuto l’impianto 'ideologico' della presentazione in pubblico, come rispettabile, della commercializzazione di scommesse e lotterie varie, tanto di quelle appoggiate sul suolo quanto delle altre naviganti nel web. N el documento di Agcom vi sono molti altri passi interessanti. Come nel caso della pubblicità via etere. Di fatto potrà proseguire l’utilizzo della tv per commercializzare l’azzardo tramite «la televendita di beni e servizi di gioco a pagamento». Purché si tratti dell’«offerta del gioco a pagamento rilasciata dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli». Ci mancherebbe. In quanti 'dettagli' si nasconde il diavolo. Tanti dettagli da far sterilizzare leggi e regole dello Stato. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il problema correlato è citato come «ludopatia» Oltre all’ambiguità del termine (anche un giro alle giostre è «gioco a pagamento») si nota una significativa distanza rispetto alla norma in vigore Rientra tra le mere «informazioni di prodotto» l’atto di esporre nel negozio gli episodi di clienti fortunati che hanno vinto?
Le Linee guida dell’Agcom su spot e sollecitazioni occulte. Dalle televendite alle quote «in diretta»: così l’Autorità per le Comunicazioni finisce per lasciare spazio al marketing
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