L’aggressione a un insegnante spia di una crisi Un insegnante di scuola media aggredito e percosso da una coppia di genitori inferociti perché – a quanto pare – aveva osato rimproverare il loro figlio dodicenne. È successo ad Avola (Siracusa) e questi sono gli scarni dettagli della notizia lanciata giovedì dalle agenzie di stampa.
Per completare la cronaca, ricordiamo che l’insegnante è finito al pronto soccorso con una costola rotta e la coppia è stata denunciata per lesioni e interruzione di pubblico servizio, poiché il terribile pestaggio è avvenuto nello stesso contesto scolastico, di fronte ad altri ragazzi. Si tratta di un fatto gravissimo, che non può che destare amarezza e preoccupazione. Quell’insegnante ha subito ferite fisiche, ma certamente la ferita più profonda è quella morale. Perché il comportamento violento di quei genitori nega la dignità del ruolo di maestro, al quale da sempre è stato attribuito un rispetto condiviso.
Qui, invece, si è definitivamente e aspramente rotto un equilibrio. Mi pare che un fatto come questo, seppure estremo e fortunatamente eccezionale, sia però in qualche misura emblematico delle difficili condizioni in cui versa oggi la scuola italiana. Un primo aspetto riguarda l’alleanza tra scuola e famiglia, che negli ultimi anni si è sempre più indebolita. Sembra strano, ma molto spesso per i genitori degli alunni non è scontato che gli insegnanti siano, costituzionalmente, loro alleati. L’obiettivo dei genitori e dei docenti, pur nella diversità dei ruoli e dei modi in cui esso si esplica, è il medesimo: favorire la maturazione dei ragazzi, accompagnarli nel processo di crescita, contribuire alla loro educazione. Invece capita che certi genitori vedano l’istituzione scolastica come antagonista.
Essi diventano così gli 'avvocati difensori' o i 'rappresentanti sindacali' dei figli, contrapponendosi frontalmente ai maestri e ai professori. C’è una parte del nostro lavoro di insegnanti che molti colleghi vivono con una certa fatica: quella del rapporto con le famiglie, che tradizionalmente si esplicava in una serie di colloqui periodici. L’introduzione per legge del registro elettronico grazie al quale i voti ottenuti dai ragazzi nelle valutazioni sono disponibili in tempo reale alle famiglie, che possono accedervi da casa tramite una semplice password - ha favorito l’illusione che quasi non serva più incontrare i docenti e parlare con loro.
È invece importantissimo conoscersi, confrontarsi, guardarsi negli occhi, stringersi la mano, capirsi, e capire che siamo dalla stessa parte. L’anno scorso insegnava nel mio liceo una giovane collega con un incarico annuale. Una donna non ancora trentenne, alle sue prime esperienze didattiche, ma seria, scrupolosa, motivata, innamorata di questo lavoro, e anche dotata di senso dell’umorismo e capacità di empatia, doti fondamentali nel rapporto con gli adolescenti: qualità che ho potuto vedere e apprezzare personalmente durante un viaggio di istruzione di alcuni giorni in cui abbiamo accompagnato insieme una classe. Succede che un giorno questa collega valuti con un’insufficienza grave l’interrogazione di una studentessa dell’ultimo anno.
La ragazza, peraltro maggiorenne, chiama subito al telefono la madre, la quale si precipita a scuola e chiede di parlare urgentemente con la professoressa. La bidella sale in classe e la chiama: lei, non sapendo di cosa si tratti, scende nell’atrio della scuola, dove la madre dell’alunna le si rivolge protestando per il brutto voto assegnato alla figlia, alzando la voce e lasciandosi andare al turpiloquio. Quello che emerge da simili episodi è anche il mancato riconoscimento sociale del ruolo degli insegnanti. E questo è un secondo, ma non secondario, aspetto del problema, molto caro pure al direttore di questo giornale che lo ha affrontato in diverse occasioni, e con forza, in dialogo coi lettori e in dibattiti pubblici.
A dicembre c’è stato il rinnovo del contratto dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, riguarda tutti tranne il personale della scuola. Si sta trattando in questi giorni per aumenti che, dopo un decennio di blocco, saranno comunque irrisori. Bisognerebbe invece valorizzare, anche economicamente (e di conseguenza socialmente), una professionalità importante come quella docente, premiandola non solo a parole (come i politici di tutti gli schieramenti non mancano mai di fare), ma nei fatti concreti.