Matteo Maria Martinoli, Milano
Mi pare di capire, caro signor Martinoli, che lei è... lievemente indignato. Non conosco lo stato civile dei “controllori burocrati” di cui parla e non so nemmeno se siano sempre e comunque sereni nello svolgimento del loro compito. Me lo auguro, così come mi auguro che si dimostrino sempre giustamente esigenti. Perché essere esigenti è un bene, a patto naturalmente che non ci siano due pesi, due misure e, magari, un po’ di occhiuta malevolenza... Ma che in una scuola tutto sia sicuro sul piano strutturale e delle dotazioni, contabilmente in ordine a livello economico e amministrativo, trasparente ed efficace sul piano didattico e agibile dal punto di vista dell’accesso (in tutte le possibile accezioni) non mi sembra soltanto opportuno, è indispensabile. La scuola è un servizio pubblico essenziale. E la “scuola pubblica” italiana è fatta per legge di “istituti statali” e di “istituti non statali paritari”. Eppure non si riesce a cambiare linguaggio e mentalità e ancor meno a superare il muro di assurde ostilità e di penalizzazioni economiche eretto contro la scuola liberamente promossa dalla società – e dal mondo cattolico come parte fondamentale della nostra società – e liberamente (seppure secondo regole stringenti) integrata nel sistema della pubblica istruzione. Eppure, tutti possono constatare che, oggi, la scuola paritaria non statale “costa” allo Stato circa 500 milioni di euro e gli fa risparmiare oltre 6 miliardi. E se qualche miope andrà a rileggersi ciò che abbiamo pubblicato il 14 ottobre a pagina 12 capirà che cosa potrebbe significare, anche in termini di spesa virtuosa, una scuola che venga messa una buona volta in condizione di camminare con entrambe le sue gambe.Ma quella somma di ostilità vecchie e incancrenite impedisce a tanti di capire (qualche illustre commentatore comincia, però, ad aprire gli occhi...) che il “privilegio” esiste solo là dove la libertà educativa delle famiglie non è rispettata. Perché, caro amico, uno Stato davvero giusto è quello che mette tutti sullo stesso piano e nelle stesse condizioni di base per scegliere. Questo, in Italia, quando c’è in ballo il diritto fondamentale dell’istruzione dei figli e della libertà educativa delle famiglie, è purtroppo quasi solo teoria. Una pura affermazione normativa di principio, che merita di avere contenuti adeguati e, finalmente, attuazione concreta.
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