Unire il sogno alla realtà. Legare la terra al cielo con il filo sottile ma tenacissimo della speranza. Opporre alla logica dell’interesse privato, l’impegno per il bene di tutti. A ben vedere il bravo politico è, o almeno dovrebbe essere, l’uomo che colma le distanze, l’ingegnere dei bivi che si incontrano, l’idealista che sa fare i conti con la vita quotidiana. Immerso nel presente senza esserne travolto, visionario eppure guidato dalla ragione, pragmatico ma con il coraggio della sfida.
Nel messaggio per la Giornata mondiale che sarà celebrata il 1° gennaio prossimo, il Papa chiama la politica e chi la interpreta, al servizio, meglio al dovere della pace. Quella, artigianale, che cresce poco alla volta grazie all’impegno reciproco di tutti, che rifiuta l’intransigenza e la rabbia sterile, che conosce le fragilità umane e se ne fa carico.
Un modello unico non c’è, o meglio lo puoi trovare, coniugato in modi e gruppi differenti, in tanti uomini e donne che ancora credono nelle mani sporche di fatica, nelle notti insonni alla ricerca di una soluzione, nell’importanza della competenza e dello studio. E, per chi ha fede, nel coraggio, nell’umiltà, di inginocchiarsi. Virtù pienamente realizzate in san Giuseppe, il “giusto” per eccellenza, esempio inarrivabile di padre e di lavoratore, figura al centro del Vangelo di ieri. Uomo dei sogni – ha ricordato il Papa in Casa Santa Marta – ma con i piedi sulla terra.
Perché sognare ha senso se ci aiuta a cercare la verità, ad allargare gli orizzonti, ad anticipare il futuro. Compito, appunto, della buona politica, cui si chiede, nel rispetto del diritto alla vita, alla libertà e alla dignità delle persone, di “disegnare” o almeno di rendere possibile un avvenire equo e giusto.
Niente a che vedere con gli slogan urlati, con la demolizione dell’altro a colpi di bugie, con il tifo da stadio. Perché nel servizio alla pace non c’è posto per le promesse impossibili da mantenere, per i numeri manipolati ad arte, per la malizia di progetti insostenibili. Soprattutto non possono avere cittadinanza la corruzione, il razzismo, la xenofobia e, guardando alla casa di tutti, le offese contro il creato. Vizi, sottolinea il Papa nel suo messaggio, dovuti «sia a inettitudine personale sia a storture nell’ambiente e nelle istituzioni», distorsioni che finiscono per togliere «credibilità ai sistemi» entro i quali si svolge il confronto pubblico e che mortificano l’autorevolezza, le decisioni, l’azione delle persone che vi si dedicano.
Di più, sono «la vergogna della vita pubblica», un vulnus che mette in pericolo «la stessa pace sociale». Tragicamente esemplare in questo senso la deriva che porta ad accusare i migranti di tutti i mali, e così facendo, a erigere muri di diffidenza che mentre tolgono ai poveri il diritto alla speranza condannano a morte la fraternità, di cui invece tanto ci sarebbe bisogno.
Un antidoto però esiste, si trova nel profondo di noi stessi, là dove ancora vive e cresce il senso di umanità, fondamento della civiltà e primo baluardo contro l’odio e l’indifferenza. Alimentarlo, renderlo fecondo, significa far respirare l’anima, rafforzare i muscoli del cuore, dare aria nuova e più pulita al bisogno di libertà che è nel dna di ogni uomo. Forse non è casuale allora che una della più belle pagine sulla buona politica, un vero e proprio “discorso della montagna” dedicato all’impegno pubblico, porti la firma di chi, come il cardinale vietnamita Van Thuan, ha dovuto fare i conti con la detenzione ingiusta, con l’orrore del carcere duro, con il sopruso, senza per questo perdere la fede.
E la fiducia nell’uomo. Il suo manifesto delle beatitudini chiama chi vuole servire il bene comune alla credibilità, alla coerenza, all’impegno per l’unità, al coraggio, all’ascolto. È un invito alla capacità di guardare al futuro impregnandolo di carità, riunendo insieme l’intraprendenza del cuore e la concretezza della ragione. Senza bisogno di urlare, con la forza della propria autorevolezza, con il coraggio disarmato della testimonianza. Come san Giuseppe. Uomo dei sogni. Ma con i piedi per terra.