Ci sono Lourdes e Fatima, Città del Messico e Nagasaki, Loreto e Pompei, il Myanmar e l’Australia. La maratona di preghiera dei santuari, che il Papa conclude lunedì 31 maggio ai Giardini Vaticani, è stata un originale giro del mondo. Di quelli che non trovi sulle carte geografiche ma disegnati sulle pareti del cuore, con gli occhi della memoria e i sogni del possibile come navigatori. Una "mappa" dello spirito incorniciata da due sole linee, una orizzontale a unire i compagni di strada, l’altra orientata verso l’alto, a legare la terra al cielo in quel dialogo di vita che si realizza nella preghiera.
Perché si viaggia da soli e al tempo stesso insieme, tutti figli unici dello stesso Padre e non è un paradosso ma verità di fede, Vangelo di misericordia, logica della carità. I santuari ce lo ricordano in modo chiaro, stanno lì a sottolineare come le vicende personali si intreccino con il dovere della condivisione, come succede nelle famiglie, quelle almeno dove si parla la stessa lingua degli affetti. Alla radice del loro nascere quasi sempre incontri personali che poi diventano patrimonio comune, la prima pietra parla il linguaggio dell’io, il resto dell’edificio si costruisce insieme, mattone dopo mattone, mescolando lacrime e Ave Maria, sogni e sorrisi, pentimenti e voglia di cambiamento.
Succede così anche di fronte alla tragedia della pandemia, che a ben vedere è specchio di questa dimensione, solitaria e plurale insieme. Un male, un nemico che colpisce il singolo, ma si può vincere solo se lo si combatte uniti, e lasciare indietro i Paesi poveri, nella globalizzazione che indebolisce i confini, non sarebbe soltanto peccato etico, ma un drammatico autogol per le economie della salute delle comunità più ricche. L’itinerario di preghiera promosso dal Papa per invocare la fine della pandemia e la ripresa delle attività sociali ci dice però anche altro, molto altro, soprattutto sottolinea la fragilità umana e l’inadeguatezza dell’autosufficienza.
Un binomio fatto di bisogni e offerte d’aiuto su cui gli architetti del sacro hanno disegnato cupole e basiliche, dipinti e statue, grandi cattedrali e piccole cappelle incastonate tra i monti. A ripercorrerne le origini una per una ci si immerge in storie spesso minime su cui irrompe la grandezza dell’Eterno e la via per avvicinarlo, un itinerario che quasi sempre passa dall’incontro con la Vergine. Madre che chiede preghiera, che si manifesta come una viandante bisognosa di latte per il Figlio, che indica una fonte di salvezza. Sono episodi di vita "piccola" con protagonisti marinai sballottati dalle onde, venditori ambulanti, contadini, spesso giovanissimi. Vicende di statue che d’improvviso diventano così pesanti da non poterle sollevare, di icone miracolose, di luce tanto potente da oscurare il sole.
Ed è bello scoprire che tutto inizia dalla fedeltà a una promessa, dal coraggio dell’inaspettato, dall’eredità di uno stupore. Dal desiderio di ringraziare. Non a caso i santuari, quasi sempre sono una specie di "ex voto", le fondamenta scavate ad apparizione "ancora fresca", con il brivido dell’emozione che rende narratori, indagatori del cuore, soprattutto testimoni. Il coraggio di condividere ciò che si è vissuto, anche a rischio di impopolarità e prese in giro, unito alla capacità di guardare avanti, di ipotizzare itinerari imprevedibili, di aprire frontiere nuove. Con la preghiera linfa della profezia e insieme lente d’ingrandimento della realtà, lampada accesa a facilitare il cammino della verità.
Oggi, lunedì, il Papa chiuderà il mese di maggio ritmato dalla preghiera per la fine della pandemia, rivolgendosi alla "Madonna che scioglie i nodi". Ne indicherà cinque, dalla relazionalità ferita alla crisi del lavoro che non c’è, dal dramma della violenza al progresso umano chiamato a non dimenticare gli ultimi, fino al tema, più interno alla Chiesa, della pastorale. Temi, drammi, urgenze, racchiusi nelle lacrime e nelle preghiere che salgono al cielo dai santuari. In apparenza uguali, in realtà ciascuna diversa da tutte le altre. Al di là delle storie personali e dei confini, anzi superando ogni frontiera. Come un giro del mondo possibile anche senza viaggiare. Perché non ha bisogno di carte geografiche, gli bastano i luoghi della spirito, insieme memoria e progetto, disegnati sulle pareti del cuore.