martedì 1 agosto 2023
L’Nhs è stato a lungo il fiore all’occhiello del Paese Oggi patisce le conseguenze della riduzione delle risorse che ha portato a un drastico ridimensionamento di servizi e cure offerti “
Sanità pubblica inglese in affanno Il gioiello messo in crisi dai tagli
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"Thanks Nhs”. Applausi. Lo scorso 5 luglio il Regno Unito ha festeggiato così i 75 anni del Sistema Sanitario Nazionale ( National Health Service, Nhs). Un traguardo importante segnato, tuttavia, da una serie di criticità che, inanellate l’una all’altra, restituiscono l’immagine di una sanità pubblica, forse mai così fragile, che intercetta nell’opinione pubblica orgoglio e frustrazione. L’Nhs è stato a lungo il fiore all’occhiello del Paese. Nato nel 1948, pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, fu concepito per offrire servizi sanitari a tutti, a prescindere dalla possibilità di pagarli, sulla base di un modello, il Workmen’s Medical Aid Society, “inventato” da una comunità di minatori e operai.

A Tredegar, nel Galles del sud, si usava contribuire con una piccola parte della propria paga ai servizi della medicheria di paese sin dai primi anni del Novecento. Soluzione che permetteva di pagare stipendi fissi al personale medico – un chirurgo, un dentista e qualche infermiera – e di utilizzare il surplus per ampliare la gamma dei trattamenti. Nel 1925 la società riuscì a comprare il palazzo del cinema locale per convertirlo in una clinica multisala dotata persino di un laboratorio per l’assemblamento delle protesi dentarie. Un esempio pionieristico di organizzazione sanitaria che è stato vittima del suo stesso successo. Il deputato di zona, il laburista Aneurin Bevan, lo “rubò” per costruire il moderno Nhs quando nel 1947 diventò ministro della Salute del governo di Clement Attlee. La Workmen’s Medical Aid Society fu costretta a chiudere.

Da allora, l’Nhs è cresciuto insieme al Paese. Nel corso degli anni è diventato un’istituzione a immagine e somiglianza dei britannici. Garante della salute e di tutte le libertà che solo una vita sana può assicurare. Nigel Lawson, Cancelliere dello Scacchiere della premier conservatrice Margareth Thatcher, era solito parlarne come della “cosa che per gli inglesi più si avvicina alla religione”. I progressi fatti fino ai primi anni duemila hanno subito una battuta d’arresto dopo la crisi finanziaria del 2008. Gli investimenti pubblici in sanità sono al palo da più di vent’anni. E gli effetti si vedono. Secondo un’analisi del thinktank King’s Fund i posti letto negli ospedali, per esempio, sono passati dai 299mila del 1987 ai 141mila dell’anno pre-Covid. Nel biennio 2019-2020 la spesa del Regno Unito in servizi sanitari, questa è invece una stima di Heath Foundation, è stata di circa 187,6 miliardi di sterline contro i 227,4 sborsati in media dai Paesi europei.

A dire che il sistema non funziona sono anche altri indicatori. Sono 7,4 milioni le persone in lista di attesa per interventi di routine come la cataratta. Per un ricovero d’urgenza bisogna aspettare fino a 12 ore. Il tempo medio di attesa per un’ambulanza richiesta in casi di sospetto ictus o infarto supera i 90 minuti. Lo stato di crisi permanente in cui l’Nhs è sprofondato incide in modo significativo sulle aspettative di vita. Le rilevazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo segnalano che Oltremanica l’indice di sopravvivenza al cancro e alle malattie cardiovascolari è tra i più bassi dei Paesi sviluppati. In cima alla classifica svetta il Giappone e, tra gli altri, l’Italia. Londra è ultima anche per numero di strumenti diagnostici.

I rapporti non ufficiali segnalano criticità pure nella manutenzione delle cliniche e casi di razionamento delle forniture. Per non parlare del clima di intimidazione che, secondo alcuni, scoraggia quanti vorrebbero denunciare ciò che non funziona. Tra i nodi più difficili c’è poi la cronica mancanza di personale. La carenza di camici bianchi, è noto, riguarda tutto il mondo. Ma nel Regno Unito è particolarmente acuta. Soprattutto dopo la Brexit. Secondo un’altra statistica di Heath Foundation, nel 2016, l’anno in cui si è tenuto il referendum, gli infermieri europei in servizio sull’isola, per fare un esempio, erano 6.400. In gran parte, portoghesi, spagnoli e greci. Due anni dopo, con il divorzio da Bruxelles a un passo dal compimento, erano diventati 800.

Oltremanica, oggi, mancano non solo infermieri ma anche medici, dentisti, farmacisti e fisioterapisti. La maggior parte del personale in servizio arriva da Paesi extra europei, in particolare da India e Filippine, e percepisce stipendi ben al di sotto della media registrata in altre nazioni occidentali. È questo, sottolineano gli addetti ai lavori, il motivo che spinge i britannici appena abilitati alle professioni sanitarie a cercare all’estero un lavoro meglio retribuito. Per esempio, in Australia. Volantini sulle allettanti opportunità di impiego a Sidney e Canberra sono stati distribuiti persino ai picchetti di protesta organizzati dai medici e dagli infermieri che da mesi scioperano per ottenere l’aumento degli stipendi congelati da dieci anni. L’idea di trattenere sull’isola i camici bianchi offrendo loro compensi più alti, come ha fatto anche l’Ungheria a febbraio, non è contemplata nella manovra con cui, a fine giugno, il premier britannico Rishi Sunak ha annunciato il rilancio del sistema sanitario. Il piano, presentato al Paese come una svolta “epocale”, consiste in un investimento da 2,4 miliardi di sterline in cinque anni per l’assunzione entro il 2038 di 300mila persone. Un’infornata di 60mila medici, 170mila infermieri e 70mila altre figure professionali tra paramedici, impiegati e manager. Il governo conta di reclutarli nelle scuole per le professioni sanitarie che raddoppieranno il numero degli studenti ammessi ai corsi. L’esito di una consultazione pubblica dirà se il piano di studi potrà essere accorciato di un anno. Più snelli saranno anche i programmi di apprendistato, compresi quelli per i medici di base e gli psicologi. I dirigenti sanitari metteranno inoltre a punto incentivi e opzioni di lavoro flessibile per incoraggiare il personale già in servizio a rimandare, se possibile, la pensione. Funzionerà? Il dibattito è aperto. Amanda Pritchard, direttore esecutivo di Nhs England, ha lanciato ai britannici una “chiamata alle armi”: “Considerate, vi prego, una carriera in sanità”.

A prescindere dall’età e dalla formazione. Ma perché, ci si chiede, cambiare impiego se lo stipendio non è allettante? Gli addetti ai lavori si interrogano anche sulle conseguenze che un’accelerazione del percorso di studi può avere sulla qualità delle cure. La discussione sul futuro è allargata anche a possibili nuovi modelli organizzativi. Sally Warren, direttore di Kings Fund, sottolinea l’urgenza di rafforzare i servizi di assistenza primaria a livello locale “per alleggerire il carico di pazienti che grava sulle strutture ospeda-liere”. Un’altra soluzione potrebbe essere separare in modo più netto la gestione delle emergenze dalle consulenze di routine. Si fa largo anche l’idea di puntare sull’intelligenza artificiale per ottimizzare le (poche) risorse disponibili. L’ospedale Addenbrooke di Cambridge ha avviato una sperimentazione, chiamata “reparto virtuale”, che prevede il monitoraggio in remoto dei pazienti a casa. I valori relativi a temperatura, saturazione, respiro e pressione vengono trasmessi ai medici in clinica, 24 ore su 24, attraverso App per tablet o telefono collegati a sensori per le rilevazioni.

A Birmingham stanno perfezionando un robot capace di segnalare un neo sospetto con la stessa precisione di un dermatologo in carne e ossa. Nell’immaginario comune l’Nhs è più importante persino della democrazia, della famiglia reale e della Bbc. Per questo va difeso con tutte le forze dal fallimento. Circostanza che spalancherebbe le porte del Regno Unito al modello sanitario americano basato sulle assicurazioni private che solo i ricchi possono permettersi. Lo scenario è un tabù che neppure i Tory osano sfiorare. Per lo meno, non in pubblico. I cittadini, non si fanno illusioni: brindano ai 75 anni dell’Nhs mettendo in conto che, tra neppure dieci anni, potrebbero dover pagare i servizi sanitari di cui oggi usufruiscono in modo gratuito. In fondo, resta però la speranza che arrivi al centesimo compleanno in condizioni migliori che valga davvero la pena festeggiare. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mancano non solo infermieri ma anche medici, dentisti, farmacisti e fisioterapisti. Contro la diminuzione dei posti-letto si sperimenta il “reparto virtuale” per monitorare a distanza i pazienti a casa

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