Studenti all'ingresso di un liceo milanese - Ansa
La ripresa della scuola ha riportato l’attenzione sui ragazzi e le ragazze, i loro problemi e le loro aspirazioni, come è giusto che sia sul finire di un’estate in cui abbiamo parlato molto di iperturismo e di clima, di donne e di ministri, ma anche di ius scholae e di cittadinanza. In questo momento si sta dibattendo molto di smartphone, e della petizione lanciata da alcuni noti pedagogisti e psicoterapeuti per vietarne il possesso e l’uso sotto i 14 anni.
Avvenire ha offerto in questi giorni alcune ulteriori chiavi di lettura sui rischi per lo sviluppo cognitivo dei bambini (qui) collegati al telefonino e ai social, oltre che sulla necessità di una maggiore presa di coscienza collettiva, nella consapevolezza di quanto possa essere complicato applicare un divieto, pur giustificato dalla preoccupazione educativa.
Il problema di fondo del dibattito su giovani e smartphone è che si sovrappongono molti piani differenti, e se è difficile affrontarli separatamente lo è ancora di più farlo tenendoli tutti insieme. Ad esempio: parliamo di bambini o di adolescenti? Di ritardo cognitivo o di ansia? Di schermo o di social? Di dipendenza o di accesso a contenuti pornografici? Di controllo o di connessione?
Per capire come i meccanismi all’origine di tante inquietudini siano articolati e complessi, ci si può soffermare su uno strumento apparentemente innocuo ma che può diventare pervasivo: il registro elettronico della scuola. Tutti gli studenti, le studentesse e i loro genitori sanno bene come funziona: è un sito internet e allo stesso tempo un’applicazione per smartphone in cui è racchiusa ogni informazione relativa alla vita scolastica dei ragazzi. Nel registro elettronico vengono caricati gli avvisi, i voti, le assenze, i ritardi, i compiti. Tutto. E tutto appare istantaneamente nell’app, di continuo, con notifiche. Del registro elettronico se ne può fare un uso corretto, valorizzandone l’innegabile comodità, e uno un po’ distorto, che ne aumenta il tasso di invasività.
Un genitore può sapere immediatamente se il proprio figlio è entrato in ritardo a scuola o se non ci è andato, e vabbè, la cosa toglie un po’ di autonomia e spazi di trasgressione agli adolescenti, e può essere un limite accettabile, se non si appartiene alla categoria dei toxic parents ossessionati dal controllo e dal tracciamento dei figli attraverso altre app. Il registro elettronico fa venire meno anche un’altra “magia”, quella della comunicazione di un voto ai genitori: papà e mamme sanno subito, prima ancora del rientro a casa da scuola, se alla verifica di storia, matematica o greco il proprio figlio o figlia abbiano preso un 4 o un 8, e i ragazzi non hanno il tempo di elaborare o coltivare il modo di far sapere come è andata.
Più delicato può essere il modo con cui alcuni insegnanti vogliano fare uso del registro. Non è infrequente, ad esempio, che i compiti per il giorno dopo vengano comunicati nel tardo pomeriggio, vincolando ragazzi e ragazze a una nervosa attesa della notifica, privati della possibilità di spendere una eventuale giustificazione all’indomani, perché in ogni caso “era scritto sul registro”. Capita che compiti ed esercizi vengano comunicati non all’ultimo giorno di scuola, ma caricati sull’app durante le vacanze. Talvolta, inoltre, le verifiche corrette sono consegnate in aula, con i segni degli interventi sui fogli, ma i voti comunicati via registro solo nel pomeriggio, e chissà come ci si sente a casa, in trepidante attesa.
Nella libertà e nella comodità che la tecnologia consente all’insegnante, la scuola e lo studio rischiano di trasformarsi da spazio, non solo fisico, per una formazione che è anche alla responsabilità e alla libertà, all’autonomia, dello studente, in una presenza costante, senza limiti, che abitando lo smartphone insegue e arriva ovunque, riempie vuoti preziosi e sempre più rari nelle giornate dei giovani, e forse alimenta anche una forma di dipendenza insita nell’essere sempre connessi. Non è un po’ stressante?
Il registro elettronico è un piccolo esempio di come la tecnologia possa essere neutra e allo stesso tempo invasiva, a secondo dell’uso, anche benevolo e innocente, che se ne vuole fare. E quando ci si chiede se all’origine di tanti problemi dei giovani vi sia lo smartphone, compreso il suo impiego o meno a scuola, dovremmo provare a riflettere sul fatto che siamo stati noi adulti ad averlo regalato troppo presto, sono sempre adulti a produrre contenuti inadatti o a immaginare app che catturano l’attenzione e creano dipendenze, è il mondo dei grandi in generale a non essere capace di pensare a una realtà in cui i giovani possano non solo abitare un ambiente digitale abbastanza sicuro, ma anche staccare e disconnettersi ogni tanto. Forse sono gli adulti ad avere difficoltà nel lasciar andare i giovani, a farli camminare da soli. E forse i giovani hanno più voglia di disconnettersi di quanto gli adulti non credano. Dallo smartphone e non solo.