Nella ricerca sui farmaci mai tanto a rischio la questione etica
mercoledì 10 luglio 2024

Quando un farmaco dopo un lungo percorso sperimentale arriva all’uomo, per stabilire il rapporto fra benefici ed effetti avversi il ricercatore responsabile non è libero di fare ciò che ritiene più opportuno perché deve osservare i princìpi etici maturati nel tempo e in continua evoluzione. L’etica non può prescindere dalla metodologia scientifica, ma deve sorvegliare che la metodologia rispetti gli interessi della persona – sana o ammalata – che partecipa alla sperimentazione. Una valutazione della situazione attuale è molto deludente e preoccupante perché l’etica è poco rispettata.

Uno dei princìpi etici presenti nella Dichiarazione di Helsinky prescrive che non si debba utilizzare una sostanza inattiva detta “placebo” quando per una determinata indicazione terapeutica esiste già una terapia disponibile. Infatti è molto favorevole per l’industria utilizzare il placebo perché è più facile che il nuovo farmaco presenti dei vantaggi. Se si utilizza un farmaco già ritenuto efficace diventa molto meno facile che il nuovo farmaco sia meglio, anche perché, se fosse meglio, verrebbe messo in discussione il vecchio farmaco di confronto. Usare il placebo non è etico perché in realtà si danneggia il paziente a cui viene sottratta una terapia per tutta la durata dello studio, con il rischio che la sua malattia si aggravi. Eppure si calcola che almeno il 75% degli studi di fase 3 – quelli decisivi per l’approvazione di un nuovo farmaco – usino impropriamente il placebo, perché viene omesso il trattamento con un prodotto attivo.

Questa situazione è aggravata dalla legislazione europea che per l’approvazione di un nuovo farmaco richiede tre caratteristiche – qualità, efficacia e sicurezza – che, non richiedendo confronti, giustificano indirettamente l’uso del placebo. Non solo, ma ci si domanda di cosa si occupano i Comitati etici, attraverso cui è obbligatorio sottoporre il protocollo dopo averlo sottoposto a un Comitato che valuta soprattutto l’aderenza del protocollo alla metodologia scientifica.

Se abbiamo un eccessivo uso del placebo significa che i Comitati etici sono più compiacenti agli interessi commerciali rispetto agli interessi dei pazienti. Ci si potrebbe perciò chiedere chi sorveglia l’attività dei Comitati etici. Dovrebbero essere le Regioni, che sono le stesse che designano i membri del Comitato etico – evidentemente poco competenti sui princìpi etici –, con un chiaro conflitto di interessi. Dovrebbe essere diverso l’Organismo che nomina i componenti del Comitato etico rispetto a chi ne giudica il funzionamento e l’aderenza ai princìpi etici. Non solo, esistono altri conflitti di interesse. La commissione che deve giudicare il valore scientifico del protocollo è stata localizzata a livello dell’Aifa (Agenzia italiana per il Farmaco), che è la stessa agenzia che mette a disposizione dell’industria – a pagamento – consigli su come effettuare uno studio clinico controllato. Il problema è che alla fine è la stessa Aifa che partecipa, attraverso l’agenzia europea Ema, alla valutazione dei protocolli che permettono l’autorizzazione del nuovo farmaco o, a livello nazionale, la rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale. L’etica non potrebbe essere più calpestata.

La situazione è molto grave ed esige risposte dagli enti chiamati in causa. Spero vivamente che si possa dimostrare che le mie considerazioni sono erronee.

Fondatore e presidente dell'Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs


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