È stata introdotta sperimentalmente dieci anni fa, e adesso decolla definitivamente in 200 Comuni: la carta d’identità digitale. Tra i dati obbligatori ne include uno importantissimo: il titolare deve indicare la propria scelta sulla donazione di organi e tessuti in caso di morte. E si capisce perché: nelle morti per incidente è di estrema utilità per gli ospedali sapere immediatamente se possono disporre degli organi ancora perfetti, vitali, efficienti, e trapiantarli in un organismo che li sta aspettando, e per il quale anche un’attesa di breve durata può essere un danno grave, a volte decisivo.
La domanda: accetti che gli organi e i tessuti del tuo corpo, se finisce la tua vita, vengano donati a chi ne ha assoluto bisogno per vivere?, pone una questione d’importanza umana e cristiana, che si potrebbe esprimere così: Di chi è il tuo corpo? Tuo o dell’umanità? La risposta 'il mio corpo è mio e voglio che muoia con me' è una risposta egoista, chi la pronuncia vive per sé e da solo, ritiene di non ricevere niente da nessuno e di non dovere niente a nessuno. Quando costui muore, muore definitivamente. Ogni parte del suo corpo ha fine con lui. La risposta 'quando sarò morto, gli organi del mio corpo sono di chi ne ha bisogno' è una risposta di sopravvivenza: gli organi del suo corpo continueranno a vivere, mantenendolo in vita, in un corpo che altrimenti morirebbe.
Si realizza per il donatore la speranza del poeta latino che scriveva: ' Non omnis moriar', non morirò interamente, una parte di me sopravvivrà. Era un poeta pagano, ma fin dalla prima volta che mi sono imbattuto nei suoi versi, io, studente di liceo classico, vi ho sentito un empito cristiano. L’afflato di una fede trascendente. Ora quell’afflato si fa anche immanente, la sopravvivenza diventa fisica e terrena. È bello, è confortante sapere che il tuo cuore, che in te si dilatava nella gioia e si restringeva nel dolore, continuerà a dilatarsi e restringersi nello stesso modo, per la gioia e per il dolore, in un altro uomo. È come se tu vivessi in lui.
Non lo hai mai visto, non lo hai mai incontrato, non sai nulla di lui e della sua famiglia, eppure dal momento in cui il tuo cuore entra nel suo petto, tu entri a far parte della sua vita e della sua famiglia. Se ha dei figli, tu sei il loro padre. Se è un figlio, tu hai i suoi genitori. Non è soltanto una questione personale e individuale, ma di famiglia e di stirpe. Lo sentono più di tutti le madri del figlio donatore e del figlio che riceve il dono. Quando succede un incidente di moto, e il ragazzo motociclista muore, e il suo cuore può essere donato, e c’è un altro ragazzo steso a letto in ospedale che l’aspetta, e l’operazione dell’espianto-trapianto sta per essere compiuta, c’è un momento in cui la madre del ricevente cerca notizie: 'Chi è la madre del donatore?'. Tra lei e quella madre si realizza una simbiosi, da quel momento ognuna è madre di ambedue i ragazzi.
La madre del donatore, incontrando anni dopo il ragazzo che ha ricevuto il cuore di suo figlio, lo guarda e non può non pensare: 'Il cuore di mio figlio, la parte più preziosa di mio figlio, vive in lui, lui è lui ma è anche mio figlio, è anche me'. È bello essere di tutti, essere dell’umanità. Non è umano dire 'il mio corpo è mio, e se voi morite è un problema vostro'. La morte di un uomo è un problema degli uomini, e chi dona un organo salva e si salva. È una bella domanda, quella della nuova carta d’identità, che ci chiede se siamo disposti a donare gli organi. Rispondiamo di sì.