Rosa e Olindo sulla porta della loro casa a Erba, dopo la strage - Fotogramma
Olindo Romano e Rosa Bazzi sono tornati nelle loro celle al carcere di Bollate e a quello di Opera. Il no della Corte d’Appello di Brescia all’istanza di revisione del processo ha cancellato le speranze dei coniugi, anche se il loro avvocato ha annunciato ricorso in Cassazione. Condannati all’ergastolo per la strage di Erba (4 morti tra cui un bambino di soli 3 anni) l’Olindo e la Rosa sono stati riportati sul proscenio (prima mediatico e poi giudiziario) da una campagna mediatica assillante. Che ha trovato sponda inaspettata in un magistrato della Corte d’Appello di Milano che ha avvallato la richiesta di revisione nonostante il no dell’intero ufficio giudiziario d’appartenenza, a partire dal Procuratore Generale.
La Corte bresciana, con la sua decisione, ha ribadito che la legge in Italia si applica nelle aule giudiziarie e non nelle trasmissioni televisive. La stampa e la tv hanno il diritto e il dovere di indagare e sottolineare eventuali errori e incongruenze nelle sentenze, non di imbastire processi alternativi basati più sul sensazionalismo che non sui fatti accertati. I tribunali italiani, pur con i loro annosi problemi, riconoscono tutte le garanzie necessarie agli imputati in un percorso che prevede tre gradi di giudizio. Quelli mediatici, invece, indugiano nelle più diverse teorie del complotto, a cui non mancano mai adepti entusiasti. Ciò che finisce troppo spesso per mancare di rispetto per le vittime e i loro familiari.
Raffaella Castagna, il piccolo Youssef, la nonna Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini meritano ora d'essere lasciati in pace. I fratelli Castagna (figli, fratelli e zii delle vittime) hanno detto che in molti ora devono vergognarsi: non è facile dare loro torto per quello che hanno dovuto ancora subire in questi giorni. E così i parenti della signora Galli e del marito Mario Frigerio, che dei due coniugi fu l’implacabile accusatore. Rispetto, lo stesso che va riconosciuto anche ai due condannati, lasciati liberi di percorrere, senza alcun retropensiero, quel percorso di riabilitazione che li deve portare a ricostruirsi come persone degne di essere riaccolte in una società civile.