Una buona soluzione potrebbe essere la decadenza del processo anziché del reato, stabilendo però tempi ben precisi per lo svolgimento delle varie fasi del giudizio - Reuters
È stata la causa – o meglio, forse, il pretesto – per il deragliamento del Governo precedente; rischiava di essere il primo serio ostacolo sul binario del nuovo. Alludiamo alla prescrizione del reato o, più precisamente, alla riforma Bonafede, che ne interrompe definitivamente il decorso (impropriamente si parla di sospensione) dopo la sentenza di primo grado. Riforma che è stata da subito al centro di infuocate polemiche, polarizzate, italico more, in opposte tifoserie, e con argomenti la cui plausibilità giuridica risulta spesso inversamente proporzionale ai decibel delle invettive con cui sono stati proposti.
Con molta accortezza la nuova ministra della Giustizia Cartabia ha chiesto e ottenuto di soprassedere per aver tempo di predisporre almeno le linee di una riforma del processo penale. Sacrosanto: anziché armeggiare, come si fa da vent’anni, sul termometro della prescrizione, si dovrebbero curare le cause organiche della cronica febbre – l’eccessiva durata – che affligge il nostro processo penale. Su questo sono quasi tutti d’accordo, ma le soluzioni sinora prefigurate sono divaricatissime e di quasi impossibile conciliazione. Non è quindi infondato il timore che le diverse forze politiche abbiano parlato di rinvio operoso, ma pensato a un mero time out, una pausa solo tattica. Per questo può essere utile, per quando riprenderà il confronto sulla prescrizione, disinfestare il terreno dialettico dalle forzature che l’hanno caratterizzato e andare oltre la deprimente alternativa tra il mero mantenimento della riforma Bonafede e il ripristino dello status quo ante. Se il nostro Paese ha l’avvilente primato di ben oltre centomila processi che ogni anno si concludono con la prescrizione, non è corretto addebitarne la responsabilità agli avvocati che tirerebbero alla lunga per lucrare l’effetto estintivo del decorso del tempo. In realtà, più della metà dei procedimenti si prescrive prima che il difensore possa incidere sulla loro durata. Il problema è anzitutto strutturale.
Per contro, non si può certo dire che, interrompendo il decorso della prescrizione con la sentenza di primo grado, sia stata inaugurata – in spregio, si è sostenuto, persino della Costituzione – la stagione dei procedimenti infiniti. Quasi che, prima del blocco della prescrizione, questa garantisse che i processi non andassero al di là della loro ragionevole durata. Le cose non stanno così. Per molte tipologie di reati i processi potevano già protrarsi per più di trent’anni senza incorrere nella prescrizione; per altre – i reati imprescrittibili (di diritto o di fatto) – potevano addirittura durare in eterno. Eppure al riguardo non sono state registrate proteste o eccezioni di incostituzionalità. Né si può dire che una tale 'intollerabile tolleranza' era (ed è) sempre collegata alla estrema gravità dei crimini. Il processo potenzialmente senza fine era (ed è) previsto anche per reati di modesta entità, dei quali la più sfrenata demagogia ha voluto prevedere una perseguibilità senza fine: si pensi al reato associativo di contrabbando dei tabacchi lavorati esteri o a quello di agevolazione dell’immigrazione clandestina, che pochissimi anni fa la Lega, oggi tra i più fieri oppositori della riforma Bonafede, ha voluto aggiungere a quelli giudicabili all’infinito.
La riforma Bonafede è stata al centro di infuocate polemiche. La neoministra della Giustizia Cartabia ha ottenuto di soprassedere per predisporre almeno le linee di una riforma del processo penale
La verità è che la gravità del reato, sulla cui base la precedente e l’attuale disciplina scandiscono il tempo della prescrizione, non c’entra nulla con la ragionevole durata del processo. La gravità del reato serve per misurare il tempo necessario all’oblio collettivo: più il reato è grave e più la società ha bisogno di tempo per dimenticare. Ma se, prima che questo tempo sia decorso, inizia il procedimento penale, cioè il rito della memoria, la gravità del fatto non dovrebbe più rileva- re: non è difficile immaginare, per un verso, efferati delitti di agevole accertamento o, per contro, reati di modesta entità che richiedono un’attività istruttoria estremamente impegnativa. Mantenendo invece in un unico compasso temporale il tempo dell’oblìo e quello del processo – come fanno la precedente e l’attuale disciplina – càpita che la saracinesca della prescrizione cada su un procedimento che ancora avrebbe potuto svolgersi con tempi ragionevoli o, ancora più spesso, che non cada su un procedimento protrattosi per una durata irragionevole. Molto dipende dal momento, del tutto casuale, in cui il reato viene scoperto: il tempo per giudicare è spesso troppo lungo, se viene scoperto subito; troppo breve, se scoperto a ridosso del termine di prescrizione.
Qualora, dunque, si decidesse di mantenere la possibilità, che molti altri ordinamenti peraltro escludono, di fermare il corso della giustizia penale per eccessiva durata ('prescrizione processuale'), il cronometro per misurarla andrebbe avviato dall’inizio del processo e non già dal fatto di reato, se si vuole evi- tare che la prescrizione operi, intollerabilmente, come una sorta di amnistia random. Ma vi è un altro problema, purtroppo ignorato, su cui ci si dovrebbe concentrare. La 'prescrizione del processo', se ben congegnata, può servire ad evitarne una durata ritenuta in assoluto comunque inaccettabile, per quanto complesso sia l’accertamento; non può tuttavia garantire che il singolo processo abbia la sua giusta durata, cioè quella necessaria e sufficiente per assicurare le garanzie previste. Il processo, però, di per sé è pena. Bisogna quindi predisporre meccanismi per evitare che si protragga ingiustificatamente e, quando ciò succede, apprestare forme di riparazione (che non siano soltanto quelle pecuniarie oggi previste). È su questo terreno, quindi, che bisognerà lavorare, qualunque sia alla fine la soluzione che prevarrà in punto di prescrizione.
In altri ordinamenti giudiziari sono previste riduzioni di pena per prolungamento eccessivo
Si potrebbero stabilire, ad esempio, termini indicativi entro cui ciascuna fase del processo dovrebbe concludersi e prevedere il dovere del magistrato procedente di informare gli organi competenti del loro superamento: ciò consentirebbe di monitorare le anomale dilatazioni temporali e – ove non dipendano, fisiologicamente, dalla speciale complessità del caso, bensì dall’insostenibilità del carico giudiziario, da deficit organizzativi o da negligenze professionali – di prendere i provvedimenti conseguenti affinché non si ripetano. Si potrebbero predisporre forme di 'risarcimento', già previste in altri ordinamenti, che tengano conto della sofferenza da processo: una proporzionale riduzione della pena inflitta (ad esempio, un anno ogni tre di ingiustificata protrazione del processo) o, addirittura, nei casi estremi e a particolari condizioni, la sua ineseguibilità. Per mettere a punto questi o ulteriori meccanismi normativi di prevenzione e di riduzione del danno da ingiusta durata del processo, tuttavia, sarà preliminarmente indispensabile rimuovere le barricate dello scontro politico, dalle quali è facile scorgere e censurare i limiti delle soluzioni altrui, quasi impossibile vedere ed evitare quelli delle proprie.
Sullo stesso argomento Avvenire ha pubblicato gli interventi di Paolo Borgna (16 febbraio) e Mario Chiavario (19 febbraio)