Anche a prescindere dai contenuti squisitamente pastorali, il viaggio che Francesco sta compiendo in “Estremo Oriente” – il più lungo dell’intero pontificato – assume un significato geo-politico rilevante e implicazioni culturali di indubbia portata.
La prima tappa è l’Indonesia, fin qui solitamente ai margini dell’attenzione dei media, sebbene si tratti del quarto Paese al mondo per popolazione (ben 280 milioni di persone) e dove oltre l’80% degli abitanti professa la religione islamica. «L’Indonesia ha scritto la storia del mondo», sostiene il belga David Van Reybrouck nel suo monumentale libro “Revolusi. L’Indonesia e la nascita del mondo moderno” (Feltrinelli 2023). In effetti l’Indonesia vanta una serie di primati poco noti: è stato, infatti, il primo Paese coloniale al mondo a dichiarare la propria indipendenza e il primo ad intraprendere, con successo, una guerra di liberazione quando ancora le grandi potenze coloniali controllavano i loro possedimenti in Africa e Asia. È in Indonesia, a Bandung, che nel 1955 il “Terzo Mondo” prende coscienza del suo potere, grazie alla celebre Conferenza Asia-Africa, da cui nasce il movimento dei Paesi non allineati.
Una riedizione dei “non allineati” è andata in scena due anni fa, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina. Quando l’Assemblea generale dell’Onu approvò la condanna all’invasione russa, in apparenza sembrò trattarsi di un plebiscito (141 voti a favore, 35 astenuti, solo 5 contrari). Ma, come ha osservato Paolo Magri, esperto dell’Ispi, impressiona «il silenzio assordante di chi ha preferito astenersi piuttosto che segnalare una posizione scomoda al Cremlino. Lo ha fatto praticamente tutta l’Asia (l’80% dei Paesi del continente)». Nel giugno 2023 pure l’Indonesia, con una sua proposta di pace, si aggiunse all’elenco dei Paesi tesi a cercare una posizione distante da quella occidentale, più in linea con la visione di un nuovo ordine mondiale nel segno del multipolarismo. Volando in Indonesia, quindi, il Papa si reca in uno Stato-chiave per gli equilibri globali e, in qualche modo, costringe i leader mondiali a fare i conti con Giacarta e la sua visione, che vuole andare oltre gli schemi della Guerra fredda. Il tutto avviene mentre a Pechino delegazioni di decine di Paesi africani si stanno riunendo per un vertice in cui la Cina si presenta come partner principale del continente.
Un secondo aspetto non meno importante. All’indomani dell’11 settembre le librerie di tutto il mondo si riempirono di volumi sull’islam. Lo choc delle Torri Gemelle costrinse tanto i leader politici quanto le opinioni pubbliche a fare i conti con il “fattore R” (come religione), quale elemento imprescindibile per decifrare la geopolitica. Col passare del tempo, però, l’interesse per l’islam e, ancor più, per un possibile confronto-dialogo con la cultura occidentale sembra essere calato inesorabilmente.
Ebbene: visitando il più grande Paese musulmano al mondo, è come se il Papa richiamasse non solo i credenti, ma anche l’intero mondo della cultura e della politica a misurarsi, senza pregiudizi, con la galassia islamica, a “fare i conti” con gli oltre due miliardi di persone che, nel mondo, fanno riferimento ad Allah e a Maometto. Lanciare tale messaggio in Indonesia ha un valore aggiunto; lo stesso pontefice ieri lo ha ricordato nel suo discorso alle autorità governative e al corpo diplomatico, sottolineando la peculiarità del Paese, il cui il motto nazionale suona “Bhinneka tunggal ika” (letteralmente “Molti, ma uno”). Quel che accade in Indonesia, dunque, assume un valore speciale. E stanotte qualcosa di molto particolare è accaduto: di fronte alla moschea Istiqlal a Giacarta si è tenuto l’incontro interreligioso con la firma della Dichiarazione congiunta da parte dell’imam Nasaruddin Umar.
Cinque anni fa, ad Abu Dhabi Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar siglarono la lo storico “Documento sulla fratellanza umana per la pace e la convivenza comune”, il cui messaggio avrebbe trovato un ulteriore sviluppo e compimento l’anno dopo nell’enciclica Fratelli tutti. Ebbene: per quanto ispirate anzitutto dal Vangelo e non da calcoli strategici, le mosse del pontefice provocano comunque reazioni e conseguenze di carattere politico (vedi gli “Accordi di Abramo”, siglati a poca distanza dalla “Dichiarazione di Abu Dhabi”). L’auspicio è che le altre parole che dirà e i gesti che il Papa compirà nel resto del viaggio, in Indonesia (e non solo), contribuiscano una volta di più ad avvicinare popoli, culture e religioni. In una situazione come l’attuale – dove quotidianamente abbiamo conferma della triste verità di una “terza guerra mondiale a pezzi” – il contributo alla costruzione della pace da parte dei credenti di tutte le religioni è più che mai decisivo.