mercoledì 7 agosto 2024
La decisione di elevare a 200mila euro il contributo fisso per chi trasferisce in Italia la residenza è solo apparentemente una scelta di equità fiscale. Il governo di centro-destra poteva fare meglio
Raddoppia il forfait per i super ricchi ma la tassa resta poco equa

Eugen Wais

COMMENTA E CONDIVIDI

Duecentomila euro sono meglio di centomila, ma il doppio di poco è sempre poco e raddoppiare un’ingiustizia non ne cambia la natura. La decisione del Governo di aumentare l’imposta a forfait per i super ricchi che trasferiscono in Italia la loro residenza, infatti, è solo apparentemente una scelta di equità fiscale. Perché, se è vero che viene duplicato appunto il valore assoluto della tassa sostitutiva, l’aliquota reale applicata rimane bassissima. Confermando così la violazione dei principi costituzionali per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, attraverso un sistema tributario informato a criteri di progressività.

La tassa sostitutiva invece funziona peggio di una flat tax, caratterizzandosi come una vera e propria imposta regressiva: al crescere del reddito, l’aliquota di tassazione cala. Tradotto: più si è ricchi e meno si paga in proporzione. Basta qualche esempio per comprendere il meccanismo. Con le normali aliquote Irpef, 200mila euro di imposte le paga (o quantomeno dovrebbe pagarle) chi ha un reddito intorno ai 430mila euro lordi, partendo dal 23% (tolta la no tax area) e arrivando al 43%. Uno straniero che guadagna cinque volte tanto - 2 milioni di euro - invece, può pagare appena il 10%. Mentre se i milioni sono 10, l’aliquota effettiva cala al 2% e così via.

Alla faccia di chi - operai, impiegati e perfino liberi professionisti – pur incassando molto, ma molto meno lasciano allo Stato chi il 5, chi il 20, chi il 40 per cento solo di imposte sul reddito. L’idea originale, in verità, non è di questo Governo ma dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi, che l’introdusse con la Legge di Bilancio del 2017. Ponendo anche l’Italia nel novero dei piccoli paradisi fiscali o meglio di quei Paesi che applicano i metodi di tax ruling, di “adattamento personalizzato” dell’imposizione fiscale - come avviene oggi ad esempio in Irlanda o Lussemburgo o Cipro - che creano iniquità e concorrenza sleale tra Stati.

Dal Governo di destra-centro ci saremmo aspettati l’abolizione di questa opzione che ricalca il tanto criticato meccanismo, per il quale le società tecnologiche riescono a pagare poco o niente di imposte in nazioni compiacenti. Ma da Renzi a Meloni, da Padoan a Giorgetti, evidentemente, la politica fiscale e l’amor di Patria si declinano allo stesso modo. Solo a importo doppio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: