Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile per proteggere il giusto desiderio di libertà di Saman? In piena coscienza, possiamo affermare che la 18enne ha trovato nello Stato italiano il mentore per sfuggire a un futuro che non era il suo, il difensore da una spaventosa arretratezza e crudeltà familiare? Saman era coraggiosa – terribile parlare di lei al passato, ma purtroppo il finale della storia sembra ormai scontato.
Un anno fa si era allontanata volontariamente dalla famiglia, si era rivolta ai servizi sociali e da novembre 2020 era affidata alla protezione degli operatori di una casa famiglia. Lì aveva compiuto 18 anni. L’11 aprile aveva voluto andare a riprendersi i documenti nella cascina delle campagne di Novellara dove tutti – genitori, zii, cugini – le erano nemici. Dalle cronache di questi giorni si apprende che gli operatori l’avevano sconsigliata di bussare ancora a quella porta. E dunque perché è stata lasciata sola? Saman era coraggiosa, non voleva arrendersi. E difatti il 22 aprile si era rivolta ai carabinieri, riferendo che la famiglia tratteneva i suoi documenti, il foglio di via per la libertà. I militari l’avevano presa sul serio e il 5 maggio sono andati alla cascina con l’obiettivo di perquisire i locali e rendere alla ragazza ciò che era suo. Troppo tardi. La giovane era già scomparsa, di lei non si hanno notizie dalla notte tra il 30 aprile e il primo maggio.
Ieri il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto ha affermato: «Le ragazze devono denunciare come aveva fatto Saman, bisogna che sappiano che non sono sole e che l’Italia è un Paese dove ci si può integrare ». Giusto, denunciare è d’obbligo, anzi, è l’unica strada per sfuggire da situazioni di costrizione e di pericolo. Ma come suonano beffarde, queste parole. La 18enne di Novellara aveva segnalato, aveva cercato protezione nello Stato. Allora, se non vogliamo chiamare in causa solo un ineluttabile destino a cui la condannava una famiglia legata a tradizioni inaccettabili, che non devono trovare spazio in nessun Paese del mondo, dobbiamo chiederci quale ingranaggio non abbia funzionato con Saman, quale lungaggine, quale superficialità, quale trascuratezza? Forse i tempi per ottenere il mandato di perquisizione? Forse il fatto che nessuno può costringere una maggiorenne, seppure minacciata di morte, a farsi accompagnare a casa dei propri aguzzini? Forse l’isolamento imposto dalla pandemia che ha attutito i segnali premonitori della tragedia e li ha resi più confusi?
L’inchiesta aperta dal Tribunale di Reggio Emilia risponderà – auspicabilmente – anche a queste domande. Sarebbe anche importante chiarire perché un altro campanello d’allarme non sia suonato nel 2017, quando Saman ha lasciato la scuola a 14 anni, nonostante l’obbligo scolastico fissato a 15 e nonostante fosse una studentessa brillante e dotata. Cosa è accaduto in quei tre anni di isolamento? Davvero nessuno avrebbe dovuto chiedersi dov’era finita quella giovane e brava alunna perduta?
Nell’attesa di risposte, è legittimo chiederci se la scomparsa di Saman rappresenti anche una sconfitta per lo Stato italiano, per le istituzioni che la giovane sentiva anche sue e a cui aveva chiesto protezione. I processi di integrazione sono complessi, le tradizioni lente da scardinare, soprattutto in comunità chiuse e fortemente identitarie. Ma esistono le leggi: il Codice Rosso contro la violenza sulle donne nel 2019 ha introdotto pene fino a 5 anni di carcere per chi obbliga qualcuno a contrarre matrimonio, con aggravanti se le vittime sono minorenni. Dunque, gli strumenti ci sono e in effetti è giusto ricordare che le cronache registrano di frequente l’arresto di padri-padroni a cui viene contestato questo reato. La stessa sindaca di Novellara, Elena Carletti, ha documentato numerosi interventi nel suo territorio per prevenire matrimoni forzati, anche grazie a segnalazioni partite dalla scuola.
Ma questa volta non è accaduto. Dobbiamo pur dircelo: l’Italia non è riuscita a proteggere Saman e il suo sogno di libertà.