Da borgo di poche case nella Jugoslavia comunista a piccola città dell’Erzegovina. In trent’anni Medjugorje è diventata quello che non sarebbe mai stata senza ciò che è accaduto a partire da quando, nel giugno del 1981, sei adolescenti, quattro femmine e due maschi di cui uno poco più che bambino, cominciarono a dire di vedere una donna manifestatasi come la Gospa, la Madonna. Di vederla e di parlarle. Lo hanno detto in quel lontano giugno e da allora non hanno più smesso, convinti che con loro la Madonna non ha smesso di comunicare. Con loro e, per loro tramite, con tutti i ’cari figli’ cui si è rivolta e si rivolge, prima centinaia, poi migliaia, quindi le centinaia di migliaia che oggi, da tutto il mondo pellegrinano fino al Podbrdo, la collina delle presunte apparizioni. A differenza dei luoghi in cui la Madonna negli ultimi due secoli è apparsa per un periodo ben definito, Medjugorje sembra avere abolito, in questo senso, ogni limite temporale. E quando si chiede come mai ciò avvenga, la risposta è che questo è un tempo speciale: l’umanità rischia di finire schiacciata sotto il peso delle proprie colpe e, come madre che di continuo raccomanda la retta via ai figli, la Madonna questi figli vuole confortare e sostenere, sempre esortandoli a pregare, confidare, digiunare, ben leggere, ben fare. Come Sms di vero amore, i messaggi in croato si susseguono puntuali e semplici, troppo semplici pare a noi che viviamo di parole e concetti complicati. Ma l’albero, si sa, lo si vede dai frutti. E sui rami di quello cresciuto sopra il Podbrdo, si può dire che i frutti non ci siano? Conversioni, guarigioni, visioni, un diluvio di confessioni nel moltiplicarsi dei pellegrini, calcolati oggi in due milioni all’anno, ma anche profumi, ’giochi del sole’, scritte impresse nel cielo, rose sbocciate in pieno inverno, foto dove appaiono immagini con le fattezze della Vergine.Poi i racconti. In uno dei quali, a tre dei ragazzi che dicono di vedere Maria viene un giorno riservata anche una rapida escursione in Paradiso, Purgatorio e Inferno a testimoniare un indubitabile aldilà dipinto con tratti danteschi.I segreti, anche. Che sarebbero dieci e verranno svelati a tempo debito dopo essere stati annunciati poco prima. Tra essi un segno che resterà sul Podbrdo, «bellissimo, visibile, indistruttibile». Ce n’è abbastanza, insomma, per dire che il divino è apparso e continua a farlo. E però: troppo bello per essere vero, da un lato. Troppo bello, dunque inverosimile, dall’altro. È il chiaroscuro del soprannaturale, la luce e l’ombra, l’et-et di cui parla Vittorio Messori. Con la conseguenza, per noi, di un discorso di onestà: se la nostra mente non riesce ad accettare l’inesplicabile, ciò non significa che la ragione passi automaticamente alla negazione e al rifiuto. E se il nostro intelletto respinge a priori tutto ciò che non si spiega e sprezzantemente se ne compiace, non per questo può candidarsi a bocca della verità. Sappiamo bene che Medjugorje non si «spiega». Ma nemmeno luoghi oggi consacrati, nemmeno Lourdes, nemmeno Fatima si spiegavano. Nemmeno Guadalupe o qualsiasi altra località nel tempo e nello spazio dove la Vergine si è presentata. Peraltro la Chiesa non si è ancora espressa e l’anno scorso, come sappiamo, ha istituito una Commissione internazionale di indagine presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Medjugorie si presenta come luogo dove i frutti spirituali e materiali sono visibili. Luogo che invita a dare credito alla Gospa regina della pace. A darle credito ricordando che, se per chi ha fede tutto è vero, per chi non ne ha nulla lo è. Vista con occhi che si devono sforzare di essere sereni, Medjugorje è una medaglia che ha nel dritto la fede e nel rovescio l’esitazione e il dubbio. D’altra parte la fede non sarebbe tale se si dispiegasse piena di tutte le certezze. E in ogni caso l’omaggio alla Signora dal manto grigio e dagli occhi azzurri può ben essere accompagnato da queste parole di Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: «Venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza».