La nostra Repubblica fondata sul pallone è uno strano Paese in cui si danno le multe ai raccattapalle «troppo lenti» (tremila euro l’ammenda che dovrà pagare l’Udinese) o lo 0-3 a tavolino comminato al Sassuolo perché ha schierato Ragusa contro il Pescara e il giocatore non era «nella lista dei 25». Solo per restare ai casi di Udinese e Sassuolo vi informiamo che nel club friulano ormai solo i raccattapalle sono italiani perché nella rosa di mister Beppe Iachini ci sono «25 stranieri», compreso il primo iracheno della Serie A, Ali Adnan Kadhim. Nel Sassuolo di patron Squinzi invece si va in controtendenza, e Ragusa, pietra dello scandalo burocratico che ha sancito la sconfitta degli emiliani e la perdita del primo posto in classifica, è uno dei 24 italiani di quello che può vantarsi di essere il «club più tricolore». Un’oasi quella di Sassuolo per chi parla e pensa con i piedi secondo l’idioma di Dante, perché ormai il 58% del nostro professionismo calcistico è composto dalla legione straniera. Dall’ultimo mercato che ha appena chiuso i battenti (ieri alle 24) sono arrivati oltre cinquanta calciatori con passaporto non italiano, in maggioranza, come sempre, argentini (8) e brasiliani (6). «Non è il caso di lanciare l’allarme», dicono gli esterofili, si sa che il fenomeno è questo da un pezzo e che in fondo anche gli inglesi, gli inventori del football, ormai viaggiano a una media ben oltre il 60% di stranieri nel loro torneo. I risultati della nazionale inglese infatti sono sempre più deludenti e non è servito neppure chiamare un guru del calibro di Fabio Capello (poi sostituito da Roy Hodgson) per invertire il trend negativo. Eppure, soltanto nella stagione 1992-93 nella Premier League militavano appena 12 giocatori non britannici (o irlandesi) e anche da noi appena un decennio fa, nel 2006, nell’album Panini le figurine degli stranieri rappresentavano il 36% del totale. Era l’estate calda e scandalosa di Calciopoli, ma anche quella della vittoria del Mondiale della Nazionale di Marcello Lippi. Ce ne siamo dimenticati?Deve avere memoria corta anche il presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, che appena insediato al vertice della Figc lanciò l’Sos contro l’invasione perniciosa degli «Optì Pobà» (tradotto: i troppi stranieri in ogni club della Serie A), mentre oggi, sportivissimo, giustifica lo stranierificio imperante e senza freni in quanto «i giovani italiani si applicano poco». Non dateci degli sciovinisti, ma la realtà racconta che i ragazzi nati e cresciuti nei vivai italiani hanno sempre meno possibilità di mettersi in mostra, debuttano tardissimo tra i professionisti – rispetto al resto d’Europa – e spesso a parità di talento sono perdenti nel confronto diretto con il giovane straniero importato dall’intermediario o il procuratore più forte sul mercato. Il presente è una terra straniera.
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