Nel mondo dei capri espiatori, dove ogni volta che capita qualche storiaccia si cerca un colpevole a cui addossare le colpe, non c’è nulla di più facile che accusare una madre, tutrice legale di un disabile mentale, per non essere stata abbastanza vicina al luogo dove il figlio malato di mente ha ucciso un povero passante, per di più straniero e pure dalla pelle scura. Nell’immaginario nazionale diffuso si tratta di una persona che gode di un credito ridotto, ma ancora più in basso nella scala di chi 'merita' di campare su questa terra ci sono i disabili mentali. Quelli che nessuno vorrebbe neanche vedere, una iattura da nascondere, possibilmente, da relegare nel dimenticatoio perché danno fastidio solo a incrociarli. E possono diventare pericolosi.
Per questo, la povera madre di cui ancora non si conoscono eventuali effettive responsabilità, a oggi ha la grave colpa di non essere stata lì, a bloccare il figlio, ammesso che ne avrebbe avuto le forze, quelle stesse che tutti i passanti solerti nel riprendere la scena orribile ritenevano di non avere. Ma lei una 'colpa' ce l’ha, agli occhi del mondo: quella di aver dato alla luce e cresciuto un figlio malato di mente. E soprattutto di non averlo rinchiuso, perché magari un medico o più di uno, o la Asl di riferimento, avrà ritenuto l’uomo disabile 'funzionale', e quindi idoneo a svolgere qualche lavoretto non troppo faticoso, di quelli per cui le imprese usufruiscono di agevolazioni fiscali e di cui le amministrazioni pubbliche e private vanno tanto fiere. O forse perché fin da piccolo, quel ragazzo strano amava l’arte e quello era il punto di maggiore contatto con lei, architetto, ma con un rapporto difficile con quel figlio che qualcuno avrà finito magari per relegare nell’ampia e un po’ ipocrita categoria degli 'speciali'.
Ma la mente umana resta un mistero inafferrabile, e ancor più lo è quella di un disabile psichico. Che prima o poi può schizzare nella violenza e compiere l’irreparabile. Sì, irreparabile. Perché per una famiglia (e qui si parla di una madre) che resta sola a gestire un figlio 'psichiatrico', una sorta di stigma, non c’è diritto a ristoro alcuno, ma neppure a fare fronte alle esigenze primarie. E quando la situazione diventa difficile, la pretesa è che la famiglia (o la madre o il padre) da sola tenga a freno anche l’imprevedibile. E se non lo fa, è colpevole.
Piuttosto si vorrebbe ricorrere ancora ai vituperati manicomi, o a strutture che tanto ci somigliano, dove i 'matti' vengono sedati, a volte legati, e comunque resi innocui. Con buona pace delle loro famiglie. Per le quali, allora, forse, si potrà provare una pietà senza misericordia, che pretende di essere migliore della rabbia e della condanna.