Caro direttore, la vicenda dei minatori cileni, la loro eroica sopravvivenza, il salvataggio internazionale e il lieto fine hanno emozionato tutti. Come restare indifferenti? Molti aspetti di questa storia mi hanno colpita. Il numero dei lavoratori, trentatre come gli anni del Cristo; la lunga gestazione nel cuore della Terra, prima di poter rivedere la luce, come lunga è la gestazione di un bambino nel grembo della madre; la gioia del loro ritorno alla luce, come dovrebbe esser la gioia di ogni vita che nasce sulla terra; la solidarietà ai parenti in attesa, che potrebbe rappresentare la solidarietà che ogni famiglia in attesa di un bimbo – in difficoltà economiche, famigliari o sanitarie – dovrebbe ricevere senza arrivare alla disperazione; lo sforzo umano, l’ingegno dei professionisti, la volontà collettiva di voler salvare quelle vite che dovrebbero dimostrare quanti sforzi, impegni, volontà mettiamo costantemente nel salvare ogni singola vita. «Chi salva una vita, salva il mondo intero», recita una famosa frase. Mia nonna materna diceva spesso: «Volere è potere...» per incitarci a non mollare, a essere determinati, a perseguire un obiettivo con audacia e coraggio. Era la voce di una donna emigrata da giovane negli Usa per sovravvivere, alla fine della prima guerra mondiale, che sognava di aprire un albergo nella sua valle montana. Dopo molti anni i nonni ritornarono, l’albergo si aprì e il nonno lavorò in miniera in Germania per pagare gli ultimi debiti. La terra bergamasca fonte in passato di migliaia di emigranti, anche nelle miniere tedesche e belghe, non poteva non sentirsi toccata da questa vicenda. Qui si ricordano ancora i morti del disastro di Marcinelle. Eppure oggi sul giornale locale una piccola notizia mi ha sorpresa e ha rispolverato l’orgoglio orobico, tenuto da tempo nel cassetto per gli atti di razzismo o intolleranza verso gli stranieri che si ripetono nella nostra terra. Tra le ditte impegnate nel salvataggio dei minatori cileni, c’erano ben tre aziende bergamasche impiegate con i loro tecnici e materiali innovativi. I famosi tubi della Dalmine-Tenaris che viaggiano in tutto il mondo, hanno rivestito il pozzo utilizzato per il salvataggio. Perché sottolineo questo, direttore? Perché la volontà di aiutare e salvare quei lavoratori ha messo in campo le migliori energie possibili. E da tutto il mondo. Tecnici, ingegneri, ricercatori, volontari hanno lavorato da matti per cercare la migliore soluzione e sono stati premiati. Era un lavorare insieme per la vita, un lavorare per un obiettivo altamente umano, un lavorare per l’uomo, fosse stato anche solo un unico minatore laggiù nel buio della terra. Oggi sono contenta che questo esempio di dedizione, coraggio, inventiva, ricerca, studio ingegneristico, faccia il giro del mondo mediatico per informarci, stupirci e commuoverci. Domani sarà un altro giorno. Ma domani, dove e come metteremo in campo, tutti insieme, passione, coraggio, audacia, mente e cuore per l’uomo bisognoso, sprofondato nel buio della povertà o dell’emarginazione o delle dipendenze o del razzismo o della malattia cronica o dell’indifferenza? Che si debba partire dal prossimo che incontriamo nei trecento metri, come suggeriva don Milani?
Elisabetta Musitelli, Zogno (Bg)
Quante cose preziose si possono trovare guardando nel cuore delle storie e degli eventi, cara amica... Abbiamo tenuto sguardo e attese puntate su una vicenda drammatica e suggestiva, abbiamo tifato per la vita di quegli uomini perduti in miniera, “los treintaitrés” e ce ne viene infinitamente di più. Lei lo dice con una ricchezza che completa quella dei commenti che l’altroieri e ieri ci hanno offerto Marina Corradi e Gabriella Sartori. È ancora una voce femminile a farlo, e questo ha davvero un significato in una storia che ha indotto tanti di noi, in ogni dove, a riflettere in modo davvero profondo sulla maternità e sull’autonomia e irriducibile voglia di vita di chi è portato in grembo (dalla terra o da una donna) «senza averlo scelto». Le scrivo questa breve risposta da Reggio Calabria, dove 1.200 delegati in rappresentanza della Chiesa che è in Italia, stanno ragionando di speranza e di doveri nel tempo che viviamo e per il futuro che vogliamo. Anche qui si è partiti, nella riflessione e nel confronto, da ciò che fonda tutto: l’amore smisurato e rispettoso per la vita umana, per ogni vita umana. E va emergendo ancora una volta che nei «trecento metri» milaniani, oggi, ci tocca proprio di tutto: il vicino di sempre e quello che non avremmo mai immaginato, l’oltraggiosa ricchezza e le povertà vecchie e nuove, il cinico business biomedico e la scienza che si china e s’inchina all’uomo, la politica che serve e quella di cui (più che mai) ci si serve... Nei «trecento metri» da casa, spesso c’è davvero il mondo. Eppure – senza vertigini – è qui e ora che dobbiamo stare all’essenziale, e lavorare.