Mario Grosso, Gallarate (Va)
Caro direttore,bene ha fatto Avvenire a dare ampio spazio, in tema di adozioni, alla sentenza della Cassazione che ha stabilito come il decreto di idoneità non può essere emesso sula base di riferimenti all’etnia dei minori. E molto calzante ho trovato il commento di Antonella Mariani. Però... c’è un però che ti racconto per esperienza diretta, da genitore adottivo: quando sei lì che devi fare questa scelta (per noi sono passati oltre dieci anni, ma sembra ieri) prima o poi ti scontri con una raffica di domande: e se arriva un bambino dalla pelle scura, che succede, siamo pronti? E soprattutto: è pronta la gente attorno a noi a vivere con naturalezza quel quadretto di papà e mamma bianchi e il piccolo di colore? E in una città di provincia, benché assolutamente non razzista, non è che poi gli sguardi curiosi e un po’ morbosi diventano mille? E quando andrà a scuola, ad iniziare dall’innocenza degli anni dell’asilo, come si troverà e come verrà accolto? Certo, poi l’amore vince tutto. E figuriamoci quello per un figlio che subito diventa comunque tuo (ma non "tuo"....) figlio. Credimi, però, anche l’amore ogni giorno è una conquista. E certi giorni, a proposito di colorito della pelle, siamo per forza di cose un po’ pallidi...Igor Traboni, Frosinone
Nessuna confusione e soprattutto nessun gioco, gentile signor Grosso. L’editoriale del 2 giugno di Antonella Mariani è serenamente esemplare anche sotto questo profilo, come del resto i servizi curati quello stesso giorno da Paolo Ferrario. Li rilegga e se ne renderà, certo, conto. In ogni caso, per quanto ci riguarda, alla base di tutto c’è una una pura e semplice constatazione: tra un figlio già nato e un figlio già vivo nel grembo materno non va fatta differenza. Sappiamo bene che nella realtà non è sempre così, ma sappiamo anche che affermare questa verità è più che mai necessario. E – ne sono convinto – anche lei la pensa come noi. I dubbi e le sensate accortezze che tuttavia, con slancio polemico, evoca a proposito della scelta adottiva e che l’amico Traboni testimonia con appassionata efficacia, erano del resto presenti anche nella riflessione di seconda pagina e nell’intervista che accompagnava la cronaca della sentenza. Ma il fatto resta. E resta l’affermazione giuridica del principio che abbiamo condensato e spiegato nel titolo dato al nostro commento: «A un figlio che arriva non si pongono condizioni». Né per il colore della pelle, né per l’aspetto fisico, né per una vera o presunta "insufficienza" (o disabilità), né per il labbro leporino... Un caro saluto a entrambi i lettori.