Gentile direttore,
in merito all’articolo di Roberto Festorazzi “Prezzolini, una Voce per il Duce”, pubblicato su “Avvenire” di domenica, 20 novembre nella sezione Agorà, mi consenta qualche telegrafica puntualizzazione. Prima, Prezzolini non era toscano, meno ancora “toscanaccio”, era nato a Perugia. Seconda, i suoi giudizi positivi su come viveva l’Italia negli anni Trenta erano oneste constatazioni di fatto, ampiamente condivise. Terza, Mussolini era stato collaboratore di Prezzolini ai tempi della “Voce”. Il che spiega anche una certa confidenziale intesa fra i due. Grazie e molti saluti.
Luigi Montonato
Grazie per le sue annotazioni, gentile amico lettore. Che non sono in contraddizione con gli elementi alla base dell’articolo di Roberto Festorazzi. Su un solo punto dissento: la umbritas di Giuseppe Prezzolini. È vero, Perugia è stata formalmente la sua «matria», perché lì era nato, ma da genitori toscani, entrambi senesi. Fu poi “nomade” per condizione (il padre era Prefetto) e fiorentino per studi e cruciali avventure intellettuali. Dunque, si può concludere che era toscano per ascendenza e formazione. Del resto, Prezzolini conosceva bene il valore e il peso delle storie familiari. E amava dire che «i veri italiani sono pochissimi». E che «appena fuori dall’Italia, l’italiano torna a essere quello che è: piemontese, toscano, veneto, siciliano, abruzzese, calabrese, pugliese...». Visto che nel 1940 si fece cittadino statunitense, probabilmente si sarebbe autodefinito tosco-americano... Come si sa, il grande intellettuale trovò il suo ultimo buen retiro a Lugano, nella Svizzera italiana, dove morì pochi mesi dopo aver compiuto il secolo di vita. Indimenticabile (e incoraggiante per chi conduce la vita che faccio anch’io) resta la battuta – che lo accomuna a Churchill – con cui congedò l’intervistatore televisivo che provava a interrogarlo sulla sua venerabile età: «Maestro, come ha fatto ha raggiungere i cento anni?». «Mai fatto sport», scandì secco. E cortesemente tenne per sé il «bischero!». Ma non c’è da dubitare del suo pensiero, visto che aveva proclamato che i «cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi»... Ci sorrido su, ma non sono d’accordo. Ci sono anche gli onesti, e sono tanti. Ma diversi nostri intellettuali – piuttosto inclini, da destra o da sinistra, all’autodenigrazione nazionale – non l’hanno mai riconosciuto abbastanza. Con tutto il rispetto, definire quel grande perugino per caso un «toscanaccio» non mi sembra proprio un esagerazione.
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