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In Italia esplode la domanda di medici, e non solo per curare le persone. In cinque anni, nelle facoltà legate al settore agroalimentare, le matricole della Statale di Milano sono raddoppiate e sono aumentate in modo significativo anche quelle della Cattolica e dell’Università di Torino… Nell’anno che le Nazioni Unite dedicano alla salute delle piante, si scopre dunque che la professione di fitopatologo affascina i giovani e che non è un fulmine a ciel sereno. La crisi finanziaria del 2008 ha inferto un colpo durissimo ad altri percorsi universitari, riportando i ragazzi alla terra – si contano ogni anno seimila giovani neolaureati in discipline agrarie, sempre più donne – ma a distanza di un decennio anche il risorgente ecologismo, al di là del tormentone mediatico generato da Greta Thunberg, si dimostra in grado di generare abilità, skill universitarie e professionali.
Oltre a cercare uno sbocco meno inflazionato di altri, infatti, chi si iscrive ad Agraria senza possedere nemmeno un ettaro di terra lo fa anche per cambiare il mondo. Nelle giovani generazioni si afferma l’idea che il futuro del pianeta è questione di knowledge , di conoscenza. Una sensibilità che si cercherà di coltivare attraverso l’Anno internazionale e gli eventi che le università stanno organizzando per far riscoprire il patrimonio vegetale. L’Università degli Studi di Torino dedicherà a questo tema, dal 4 al 6 giugno, un vero e proprio Festival, dove i medici delle piante saranno protagonisti. Non parliamo soltanto dei fitopatologi, ossia di coloro che, nel settore pubblico o privato, fanno ricerca, sperimentazione, assistenza tecnica e divulgazione sulle malattie della vegetazione e sulle contromisure da attuare. Dal mercato del lavoro spuntano plant sitter, che si occupano delle nostre piante di appartamento quando siamo in vacanza, esperti nella manutenzione del verde verticale e tecnici specializzati nel gestire le coltivazioni di fiori e ortaggi che non crescono sulla nuda terra, bensì su substrati artificiali o idroponici.
L'avvento dell’agricoltura di precisione, poi, rimescola ulteriormente le carte e chiama in causa figure che un tempo non avremmo mai incontrato in un campo di mais o in una vigna. «Guardando a un futuro nemmeno troppo lontano – osserva Maria Lodovica Gullino, direttore del Centro di Competenza per l’Innovazione in campo agro-ambientale Agroinnova (Università di Torino) – molte professionalità potranno interagire con gli agronomi per utilizzare droni e tecnologie in grado di verificare lo stato sanitario delle coltivazioni e migliorare le prestazioni delle macchine agricole. Prendendo poi in esame la sicurezza dei prodotti agricoli, in termini di assenza di contaminanti (residui di agrofarmaci e micotossine), risulta evidente anche il ruolo dei tecnologi alimentari. Per concludere, attorno alla salute delle piante ruotano tanti mestieri, alcuni tradizionali, altri nuovi, altri ancora del tutto da inventare». O da reinventare: biologi, biotecnologi e agronomi che già operano nei laboratori, diversamente dal passato, debbono sapersi districare tra big data e strumenti di comunicazione sofisticati.
Come avviene per l’appunto ad Agroinnova, che dal 2002 si occupa di difesa fitopatologia grazie a finanziamenti nazionali ed europei: i 'medici delle piante' lavorano anche qui e il cambiamento climatico li pone di fronte a sfide ogni giorno mutevoli. «Il riscaldamento globale e la globalizzazione dei commerci – conferma Giorgio Vacchiano, ricercatore di Assestamento forestale e Selvicoltura all’Università di Milano – ci regalano ogni anno un nuovo patogeno. Tutti conoscono la Xylella, ma pochi sanno che i pini di Napoli stanno soccombendo sotto gli attacchi della Toumeyella parvicornis, una cocciniglia che sta risalendo verso Roma. Attacca gli aghi e non ci sono ancora dei predatori naturali in grado di fermarla». Non a caso, i 'medici delle piante' sono sempre più presenti nelle ditte sementiere, dove debbono garantire la sanità delle sementi che, commercializzate a livello globale, possono essere vettori di parassiti; nel settore vivaistico, dove si deve garantire la sanità nella riproduzione; negli impianti sportivi e nelle istituzioni che gestiscono il verde urbano... Perché, osserva Vecchiano, non basta piantare nuove foreste, se non si riesce a difendere il patrimonio esistente.
Infatti, l’Università di Milano sta studiando da anni le strategie di gestione forestale e del verde urbano e presto inaugurerà a Edolo, nel Bresciano, un corso di specializzazione sulle foreste montane. «Curare le piante diventerà sempre più decisivo nella lotta al riscaldamento globale e al sequestro di carbonio in particolare – ammette il ricercatore – prima di tutto perché difendere una foresta esistente è più efficace che riforestare. In secondo luogo perché quando piantiamo un albero creiamo un ecosistema artificiale che dobbiamo proteggere anche dai patogeni. Infine, se è vero che le foreste assorbono carbonio, non si deve dimenticare che questo 'servizio ecosistemico', così come la fornitura di legno, la protezione dei versanti e la funzione di habitat per la biodiversità sono messi sempre più a rischio dalla crisi climatica, che agisce anche aumentando la frequenza e la severità degli attacchi da parte degli organismi patogeni, come nel caso del tipografo dell’abete (Ips typographus) e del suo avanzare in seguito ai danni della tempesta Vaia nell’ottobre 2018. La gestione forestale sostenibile, basata sulla scienza e sulla capacità di rinnovazione naturale delle foreste – conclude – serve anche a rendere le foreste più resistenti agli estremi climatici e meno vulnerabili ad alcuni patogeni. Ma per gestire la transizione della nostra società e delle nostre foreste verso questo modello servono, appunto, figure specializzate nella difesa e nella cura del patrimonio forestale».