Tra i frammenti di orrore che vengono da Haiti, quello dei cento bambini sepolti sotto la scuola di Leogane, vicino a Port-au-Prince, occupa ancora pagine e attenzioni. A questa tragedia s’accodano notizie di altre scuole, coi morti sotto, da verificare. Non è infatti aggiornata la conta degli orrori, che chissà a quali scenari deve ancora metterci di fronte. Le immagini delle scuole crollate fanno il giro del mondo, ma risuonano in modo particolare nelle aree dell’Italia centrale colpite dal terremoto. Aree che non sono solo quelle aquilane. Sono anche altre come San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, in Molise, dove nel 2002 morirono in una scuola elementare 27 bambini con la loro maestra. Fino a pochi decenni fa Abruzzo e Molise costituivano un’unica regione: di terre insensibili alle diverse denominazioni date loro dall’uomo, ma molto sensibili allo scuotersi della medesima dorsale appenninica, a ridosso della quale si trovano. San Giuliano e Leogane di Haiti sono nomi che scuotono l’anima. Che hanno il potere – per la loro intollerabilità, per la mostruosa banalità con cui il male ha colpito, per la incredibile crudezza d’aver ucciso tanti piccoli – di far vacillare ogni fede e deporre ai piedi dell’Alterità una domanda, come un grido. Qualcuno ricorderà cosa sia stata, nel 2002, San Giuliano. Nel parlare delle scuole di Haiti, stranamente non era ancora stato fatto un parallelo, per cui a noi d’Abruzzo e di Molise rinverdire la memoria e il dolore. Morirono tutti i bimbi di questo paesino ch’erano andati a scuola. Morirono loro e la maestra Carmela. E nessun altro. Una strage degli innocenti, concentrata dove si erano ritrovati con gli zainetti, coi grembiulini, correndo incontro ai compagni, dopo aver lasciato, per l’ultima volta, la mano alle mamme, ai papà, ai nonni. Corsero incontro alla morte sorridendo, senza voltarsi, e furono quelle le loro ultime immagini. Poco dopo, tutto dentro la scuola prese a scuotersi. Masse troppo grandi per le loro piccole membra – troppo mostruose per le loro testine che si alzavano verso il soffitto, troppo crudeli e maledette per i loro occhi che, spauriti, si giravano intorno – li oppressero per sempre al suolo e li uccisero. A noi che siamo morti con loro, a noi che il caso – o la tragedia, o la fatalità, o altri nomi senza senso – non ha ancora riconsegnato all’Alterità, a noi che infinite volte li abbiamo inseguiti, col pensiero, in quelle ultime immagini cercando di trattenerli sull’estrema soglia, sia consentita solo una preghiera. Che qualcuno ancora si salvi, innanzitutto, in un miracolo tanto più commovente perché tardivo e inatteso: queste ultime ore ci stanno mostrando speranze vincenti sulla disperazione, estreme forme di combattimento del corpo, nell’incoscienza, per resistere a una settimana dal sisma, e a una settimana passata in quelle condizioni, come se la vita non volesse rinunciare a prevalere sulla morte. E per i tanti piccoli, che non possono più salvarsi e attendono solo di essere riconsegnati alle mani dei cari, una preghiera… retrospettiva. Che non abbiano sofferto. Che non abbiano pianto. Che non abbiano chiamato. Che non abbiano atteso. Che un sonno profondissimo li abbia avvolti subito, in quegli ultimi istanti dove ogni realtà regredisce e ogni presenza, che li accompagni in una fine veloce, diventa possibile. Valga per loro la preghiera degli antichi: vi sia lieve la terra. Mai preghiera fu più intonata alla morte per terremoto. Così pregammo per i bimbi di san Giuliano, così preghiamo per i bimbi di Haiti: ali d’angeli vi salvino quando nessuno lo spera più. Oppure vi abbiano avvolti in un istante e sollevati e riconsegnati a quel mondo dove nulla più vi sottrae alle madri, ai padri, ai nonni, ai compagni di giochi e nulla spegne il vostro sorriso.