L’annunciata privatizzazione di Poste italiane rappresenta insieme una sfida e un’opportunità, tanto per il Governo quanto per il sindacato. La Cisl in particolare, che sulla partecipazione, finanziaria e strategica, tra lavoratori e imprese ha raccolto nei mesi scorsi 375mila firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare.
L’esecutivo ha infatti deciso di avviare un’Offerta pubblica di vendita per mettere sul mercato una seconda tranche di azioni del gruppo pubblico. Non è stato ancora fissata la quota da porre all’incanto né sembra essere stato deciso se a vendere sia solo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (che detiene il 29% del capitale) o anche la Cassa Depositi e Prestiti (titolare del 35% circa). Per ora si sa con certezza solo che il Governo intende mantenere il controllo di Poste con una quota adeguata. E che, complessivamente, ha bisogno di realizzare 20 miliardi di euro vendendo altre tranche anche di Eni, Ferrovie dello Stato e Monte dei Paschi di Siena. Il ricavato sarà destinato a limare la montagna del debito pubblico e risparmiare qualcosa sui relativi interessi.
Il sindacato è in grande allarme e agitazione. Teme che l’ingresso di altri investitori, in particolare Fondi esteri, possa “snaturare” il servizio pubblico con tagli di personale e agenzie, indirizzando gli investimenti e lo sviluppo solo sulle attività più remunerative di raccolta del risparmio. Di più, il sindacato paventa che «per riempire un po’ il portafoglio il Governo rinunci ad esprimere un ruolo forte e pubblico nella definizione delle politiche industriali del Paese - per dirla con le parole del leader Cisl Luigi Sbarra –. È già successo e abbiamo perso asset strategici, si è impoverita la quantità, la qualità e l’efficienza dei servizi». Per questo, oltre a chiedere l’apertura di un confronto, il segretario della Cisl rilancia l’idea di aprire la governance delle imprese pubbliche all’ingresso di rappresentanti dei lavoratori nei Consigli d’amministrazione o di sorveglianza.
Si potrebbe discutere a lungo se una più consistente presenza dei privati nell’azionariato possa determinare una maggiore o minore efficienza nei servizi pubblici, elevarne o comprometterne la qualità. Noi crediamo che male non faccia la compartecipazione dei privati, soprattutto quando il controllo rimane comunque saldamente in mano allo Stato, come si prospetta in questo caso. Certo è invece che, in qualsiasi azienda, più i lavoratori sono coinvolti, rappresentati e ascoltati ad ogni livello, più possono partecipare, appunto, all’assunzione di decisioni strategiche riguardanti il loro lavoro e la conduzione dell’impresa, migliori saranno i risultati.
La concessione “dall’alto” di un posto di rappresentanza nel Cda, però, da sola non garantisce affatto la partecipazione. E, d’altro canto, non è un mistero che da molti anni ai vertici delle Poste siedano manager quantomeno “graditi” al sindacato stesso. La partecipazione va invece costruita e conquistata “dal basso”. E quale occasione migliore di un’Offerta pubblica di vendita per aprire l’azionariato ai lavoratori e, in forza di una quota azionaria acquistata, di un impegno diretto e convinto, ottenere un posto al tavolo delle decisioni strategiche? Ciò che la Cisl in particolare - in coerenza con la sua proposta di legge di iniziativa popolare – dovrebbe rivendicare è allora questa apertura alla partecipazione finanziaria e strategica dei dipendenti di Poste. Più che cercare garanzie dal Governo, si tratta di rilanciare e alzare “la posta” nel confronto con il Mef: “Una parte dell’azienda la compriamo noi!”.
I mezzi per realizzare praticamente l’operazione non mancano: si può riservare agli oltre 120mila dipendenti una parte dell’offerta, con acquisto agevolato. Oppure si può coinvolgere FondoPoste, il Fondo nazionale di pensione complementare per i dipendenti del gruppo. O, ancora meglio, costituire un “voting trust”, un fondo fiduciario, a cui i lavoratori possano affidare le loro quote azionarie per farle “pesare” nelle votazioni delle assemblee societarie.
La partecipazione tra lavoratori e imprese, in fondo, è soprattutto un investimento: di fiducia, di impegno ma anche di risorse personali. Solo così funziona e questa è l’occasione per dimostrarlo.
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