Non è solo un errore di calcolo (politico). La polemica sui buoni spesa, innescata da alcuni leader del centrodestra e ripetuta a occhi chiusi come un mantra da molti sindaci leghisti, è in realtà un clamoroso autogol. Perché – al di là delle legittime valutazioni sul calo delle entrate dei Comuni e sui loro bilanci in difficoltà – mai come in questo specifico caso il provvedimento è da considerarsi tempestivo e correttamente impostato in chiave sussidiaria.
Non solo, dunque, è sbagliato dividere i 400 milioni di euro per 60 milioni di italiani, come ha fatto per primo Matteo Salvini parlando di 6 o 7 euro a testa, visto che si tratta di «misure urgenti di solidarietà alimentare» evidentemente destinate a chi non ha da mangiare e non indistintamente all’intera platea di connazionali. Ma soprattutto perché così si rischia di perdere una buona occasione per far recuperare ai Comuni quel ruolo centrale nell’intervento a favore dei cittadini che negli ultimi tempi si era andato appannando.
L’ordinanza della Protezione civile con cui si ripartiscono i fondi, infatti, assegna proprio alle amministrazioni locali il compito di individuare le fasce di popolazione bisognose di sostegni alimentari urgenti. Lasciando ampio margine discrezionale agli «Uffici dei servizi sociali» di determinare il contributo ai «nuclei familiari più esposti agli effetti economici dell’emergenza» e a «quelli in stato di bisogno». Con il solo limite, peraltro non tassativo, di dare «priorità a quelli non già assegnatari di sostegno pubblico» e quindi in qualche modo "coperti" da altre tutele come ad esempio il Reddito di cittadinanza.
Non solo, i Comuni per distribuire questi aiuti possono far conto sull’esperienza e la rete degli enti del Terzo settore come ad esempio il Banco alimentare, la Caritas, la San Vincenzo e le mille altre realtà di volontariato cattolico e laico che già in tempi normali si occupano di dare risposta concreta ai bisogni alimentari dei più poveri. Ma non è finita: sempre l’ordinanza della Protezione civile apre alla possibilità di far confluire ai Comuni anche donazioni da parte dei privati, fiscalmente agevolate, per incrementare i fondi a disposizione. Così che, ad esempio, supermercati e negozi di vicinato hanno la possibilità di aggiungere sconti o fornire prodotti per ulteriormente rafforzare gli interventi comunali verso chi, senza lavoro, si trova a non sapere come mettere insieme il pranzo con la cena. E infatti alcune catene della Grande distribuzione organizzata si sono già offerte di aggiungere un ulteriore 10% di sconto a questi buoni spesa comunali finanziati dallo Stato. Anche privati cittadini e aziende possono incrementare i fondi a disposizione dei Comuni con donazioni in denaro, partecipando a una sorta di "spesa sospesa" per chi è stato maggiormente colpito dal blocco delle attività produttive. Insomma, con il provvedimento emergenziale emanato dal governo questa volta è possibile congegnare – senza tanta burocrazia e con ampi margini discrezionali – un’importante operazione "dal basso". Con l’intervento congiunto di pubblico, privato e non profit, cioè la migliore alleanza possibile sui territori per dare risposte concrete ed efficaci a chi si trova anche solo temporaneamente in una condizione di bisogno.
Il sostegno da parte dei Comuni può partire già da oggi, anzi da ieri, ad esempio acquistando carte prepagate dei supermercati (con relativo sconto incorporato) da distribuire attraverso assistenti sociali ed enti di volontariato. Basta che leader e sindaci sappiano fare i calcoli giusti, a favore dei cittadini, e non quelli dettati dalla speculazione politica. Con la quale non si dà buon pane da mangiare ai poveri. Anzi, si rischia d’avvelenarli con polemiche tossiche.