Il recente episodio del rogo del Corano a Stoccolma, nell’ambito di una festività sacra tra le più importanti celebrazioni dell’Islam, con l’autorizzazione del governo svedese, ha fortemente colpito l’opinione pubblica. È emersa con forza la posizione di chi condanna: l’atto è considerato «inaccettabile», «inappropriato », «spregevole», «vergognoso ». La reazione così forte mette in evidenza la presa di coscienza nella società civile, oggi, che questo atto, con il pretesto della libertà di espressione, in realtà la nega. L’esistenza di una pluralità di religioni in una società che sta divenendo sempre più multietnica è un dato di fatto, di cui dobbia-mo prendere atto. Non è certo un tema nuovo, ma questo evento solleva, oggi, quesiti urgenti che esigono risposte razionali.
È un tema scottante sul piano politico e sociale, e solleva un interrogativo di natura etica: come porsi di fronte al pluralismo religioso? Radicale ed estrema è la posizione di chi non accetta il pluralismo e pretende di imporre una sola visione del mondo, esclusiva ed escludente, negando qualsiasi differenza. L’estremismo porta alla intolleranza nei confronti della diversità religiosa, che si può tradurre in aggressione, odio, oltraggio, offesa, violenza. Il rogo del Corano è espressione di intolleranza, di esclusione. Chi ha agito ha espresso una libertà che ha preteso di porsi come assoluta e autoreferenziale, negando la libertà altrui. L’accettazione del pluralismo religioso parte e si radica, invece, nella tolleranza: tollerare non significa sopportare acriticamente in modo neutrale qualsiasi differenza, ma vuol dire riconoscere e rispettare l’altro, anche se ha convinzioni e professa religioni differenti. Tollerare significa riconoscere la differenza, per comprenderla, anche senza condividerla, ma rispettandola, ossia garantendo la possibilità di esprimersi nel pensiero, nel credo, nei comportamenti, nei riti.
Chi ha condannato l’episodio ha aderito a questa prospettiva: ha mostrato di comprendere il significato costitutivo e il valore fondamentale dei diritti umani, radicato nella uguaglianza che riconosce la dignità di ogni uomo pur nella differenza, nella libertà relazionale. Il rogo del Corano si muove in una direzione contraria ai diritti umani, agli sforzi internazionali che cercano di diffondere i valori di moderazione e rifiuto di estremismo, di rispetto reciproco nei rapporti tra religioni, tra i popoli e gli Stati. È un atto violento che provoca odio, persino istiga all’odio, e peraltro può avere un impatto devastante che porta alla separazione, all’incomunicabilità delle ragioni e delle religioni, in contrapposizione al dialogo interreligioso.
La forte reazione di condanna dell’episodio mostra la maturazione nella società di una consapevolezza dell’inaccettabilità della violenza, contro chiunque si manifesti, quale che sia la credenza e la fede. La diversità religiosa non deve essere esclusione, ostacolo da combattere e abbattere. I diritti umani e le nostre costituzioni ci insegnano che ogni uomo ha dignità e diritti, a prescindere dalla religione professata, e al tempo stesso ognuno ha il diritto di credere ed esprimere una diversa convinzione religiosa.
Ogni fede è legittima nella misura in cui sia rispettosa dei diritti umani, e va posta nelle condizioni di esprimersi, di conservare per quanto possibile le proprie tradizioni, convinzioni, riti. È solo su queste basi teoriche che si può costruire nella prassi un dialogo in una società plurale. Il dialogo è possibile solo quando si riconosce la possibilità – dunque il diritto di esistenza e di espressione – a tutte le altre parti dialoganti a prescindere dal credo di appartenenza, nella consapevolezza che il contributo altrui è un indispensabile arricchimento verso la verità comune. Ogni religione ha il diritto di esprimersi e di partecipare al dialogo. La violenza è sempre e solo chiusura al dialogo. Una chiusura che disconosce i diritti umani e i princìpi costituzionali, la base della coesistenza sociale.
Professore ordinario di Filosofia del diritto Lumsa