Gentile direttore,
la memoria della Grande Guerra va custodita, ma senza la retorica cui ci ha abituato una lunga tradizione. Nelle commemorazioni ufficiali del 4 Novembre insieme con i 650mila caduti in battaglia non si parla mai dei 15mila militari condannati all’ergastolo per ammutinamento e/o disobbedienza, dei 4.000 disertori condannati alla pena capitale (750 le sentenze eseguite) e delle vittime delle frequenti esecuzioni sommarie. Siamo di fronte, a parte quanti disertavano per viltà e non degni di memoria, a un’altra forma di coraggio, che veniva fatta pagare a caro prezzo, non di rado con la vita. Non sarebbe giusto che, a distanza di più di un secolo, anche i disobbedienti del 1915-18, gli “obiettori alla guerra”, venissero ricordati? Non hanno dato anch’essi una lezione di pacifismo e di civismo, sempre attuale?
Domenico Mattia Testa
L’anniversario del 4 novembre è molte cose insieme. E dopo 103 anni, gentile e caro lettore, possiamo ben dire che non è soltanto la memoria di una grande battaglia vinta e di un’unità nazionale drammaticamente compiuta. E per dirlo senza cadere nella retorica, in nessuna retorica, è importante guardare alla grande carneficina che abbiamo chiamato Prima guerra mondiale dalla parte delle vittime che ha provocato. Tutte, nessuna esclusa. Limitiamoci qui al nostro Paese. Noi di “Avvenire”, era il 2014 e ne scrisse Giovanni Grasso (oggi in altre e altrettanto serie faccende affaccendato...), siamo stati i primi sulla stampa quotidiana a riaprire il caso dei «disobbedienti» condannati e degli innocenti (e troppo obbedienti) «decimati» sul fronte italo-austriaco. Anche la loro è stata “guerra”, durissima. Anche per loro c’è stato dolore e orrore e terribile sacrificio. Ed è vero che queste migliaia di esseri umani non entrano nel computo dei circa 650mila morti in divisa, che però, secondo altri calcoli, salirebbero sino a 780mila. E neppure in quello delle vittime civili stimate in almeno 590mila, sebbene pure tale cifra, secondo approfonditi studi, dovrebbe attestarsi assai più in alto: vicino al milione e persino oltre... E ben oltre il milione sono pure i mutilati e gli invalidi sui quali la guerra del 1915-18 impresse il proprio rovente sigillo. Ma se pensiamo anche alle migliaia di uomini che da quell’esperienza vennero sconvolti nella psiche, ci rendiamo conto che non esattamente tutti i “grandi feriti” sono stati davvero censiti. Faccio fatica a scrivere e inanellare numeri così pesanti, perché ognuno di essi è una persona. Un padre, un fratello, un figlio. E, con loro e accanto a loro, madri e sorelle e figlie, che non sono meno vittime perché non inchiodate sui diversi fronti di battaglia, ma crocifisse dalle bombe e dalla denutrizione nelle “civili” retrovie. È così: ogni guerra distrugge l’umanità. La lezione sempre attuale, nuda e semplice, è interamente qui.