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In queste torride ore un video fa capolino sui social. Uno dei tanti, tantissimi, cui, pigramente, daresti uno sguardo e passeresti oltre, se non fosse per il luogo dove è stato girato, per i protagonisti e le loro affermazioni.
Alcuni uomini, a torso nudo, mangiano un gelato con gusto. Sono euforici - e la cosa non può non farci piacere – ridono, scherzano, si prendono in giro. Ma, ahimè, alle loro spalle si vede una cancellata che non permette loro di uscire per andare a fare un tuffo in mare. Siamo, infatti, in una cella del carcere di Poggioreale e il telefonino sta riprendendo dei detenuti, che – stranamente - non si lamentano del caldo, del vitto, del sovraffollamento. Sono ottimisti, un po’ sbruffoni: “ SImm liun… o carcr ciò mangiamm…”. Siamo leoni… il carcere ce lo mangiamo, dicono.
Non possiamo che rallegrarci del loro buonumore, nel luogo dove sono ristretti lo scoraggiamento sovente sfocia nella depressione con conseguenze drammatiche. Essere allegri - nonostante la pena da scontare, l’afa che affanna il respiro, la mortificazione di non poter andare in vacanza - non è cosa da poco conto. Non possiamo, quindi, non condividere lo stato d’animo di cui hanno voluto farci partecipi, augurando loro di riappropriarsi presto e tenersi caro il dono della libertà.
Ma, c’è un “ma” grande quanto il Vesuvio che ci preoccupa. E non può non preoccupare coloro che dei detenuti sono responsabili, chiamati a controllare che godano di tutti i diritti cui hanno diritto e osservino tutti i doveri, le restrizioni, le regole, i divieti previsti. Com’ è possibile - ci domandiamo sgomenti - che a Poggioreale i detenuti siano in possesso di telefoni cellulari con cui comunicare con l’esterno a insaputa dei responsabili, fotografarsi, filmarsi, e postare sui social le loro deliranti imprese? Che succede nel famigerato carcere di Napoli? Sono venuti meno i controlli? Si tratta di un caso isolato o di un pericoloso andazzo cui non si sa, o non si vuole, far fronte? Ancora: perché, pur sapendo di suscitare un putiferio e di venire in qualche modo puniti, questi fratelli non hanno rinunciato a fare quello che hanno fatto? È stata, lo loro, un’ingenua goliardia o siamo di fronte a un messaggio che stanno lanciando ai complici, ai rivali, alla società? È un’aperta e crassa sfida allo Stato o solamente un infelice autogol? Non lo sappiano e per questo ci aspettiamo da chi di competenza - dal direttore di Poggioreale ai vertici di governo e parlamento - una risposta seria che possa tranquillizzarci.
Nei giorni scorsi, Salvatore Parolisi, condannato per l’orribile omicidio della moglie, Melania Rea, ha potuto godere di un permesso premio. Purtroppo, l’intervista rilasciata ha fatto cadere le braccia a chiunque avesse avuto modo di ascoltarla. Si capiva da lontano che dei presupposti previsti per poter ottenere il premio, non ce n’ era nemmeno uno. Gli anni di detenzione sembrano essergli scivolati addosso. Se educare un bambino innocente è cosa impegnativa da fare con abnegazione, intelligenza, cuore, rieducare un adulto, dopo essersi macchiato di un reato è molto più difficile e faticoso. Ma possibile. La speranza di riuscirci non deve venire mai meno, a patto, però, che le sentenze vengano rispettate e la disciplina interna venga osservata con la dovuta severità.
Il raccapricciante ricordo di Raffaele Cutolo che riuscì, da recluso a Poggioreale, ad organizzare e armare uno dei clan camorristici più feroci e sanguinari che la storia annoveri, è ancora vivo nella memoria di noi campani. Così come il ricordo del caro dottor Giuseppe Salvia, vicedirettore dello stesso carcere, da lui fatto trucidare il 14 aprile del 1981 mentre faceva ritorno a casa. Si era reso “colpevole” di voler riportare l’ordine e la disciplina a Poggioreale, luogo nel quale, da tempo, le stesse non venivano più osservate. Bisogna correre ai ripari al più presto. Per il bene di tutti, a cominciare dagli stessi detenuti. Il video realizzato nel carcere di Napoli, inquieta, e non poco.