«Sono convinto che un giorno, volendo o non volendo, papa Luciani salirà agli onori degli altari». Poi dom Aloisio Lorscheider parlò di quell’incontro estremamente amichevole e cordiale che aveva avuto con Giovanni Paolo I, nel quale il Papa gli disse di aver molto apprezzato l’intervista che come presidente della Conferenza episcopale latinoamericana aveva rilasciato ad "Avvenire".
Era il 1998 e ad Aparecida, in Brasile, ascoltavo i ricordi del cardinale brasiliano al quale Giovanni Paolo I diede il suo voto in Conclave, come confidò lui stesso. Mi parlò a lungo di Albino Luciani, soffermandosi su quella sua prima udienza, subito dopo l’elezione, ai «fratelli» del collegio cardinalizio ai quali, in modo inaudito disse: «Spero che aiuterete questo povero Cristo, il Vicario di Cristo, a portare la croce».
Il modo con il quale pronunciò queste parole fece molta impressione a Lorscheider. Era il Papa a parlare così. Il cardinale ricordava quando, poco tempo prima, nelle turbolenze di quella stagione ecclesiale, era intervenuto citando Avito di Vienne, santo vescovo del VI secolo: «Se il Vescovo di Roma è messo in discussione, non è il Vescovo, ma l’intero episcopato che vacilla». «La sua umile umanità non era di facciata. Era un’umiltà schietta – mi disse Lorscheider –, quella che nasce solo dal riconoscersi poveri peccatori, e dalla esperienza del perdono». L’esatto momento dell’elezione del 263° Vescovo di Roma lo ricordava con molta lucidità, così: «Ero proprio di fronte a lui, e lo guardavo. Ed eravamo tutti i cardinali in attesa del suo sì. Il suo sì a Cristo, un sì alla Chiesa come servitore, un sì all’umanità come pastore buono. Io l’ho visto con una serenità profonda, che proveniva da una interiorità che non s’improvvisa».
Prima del cardinale Lorscheider, un sacerdote di grande intelligenza, don Giacomo Tantardini, anima di "30giorni", mensile per il quale subito dopo la laurea iniziai a lavorare, mi aveva portato a guardare la luce di questo Papa inedito, lasciato, subito dopo la morte, nel cono d’ombra della storia. Ma è dai racconti vivi della sorella Antonia, conosciuta attraverso la nipote Lina Petri, che ne rimasi affascinata. «Mio fratello voleva fare il giornalista, se non avesse fatto il prete – mi disse –. Scriveva tanto, e mi diceva: "Anche con la penna si può fare tanto del bene"». E poi tutto è venuto secondo un disegno che non so dire. La scoperta dell’enfant prodige, il dottorato sul sermo humilis che è la scelta teologica canonizzata da sant’Agostino affinché il messaggio della salvezza possa giungere a tutti. E da qui un disegno che ancora non so dire.
Da qui il grazie a una causa che ha permesso la raccolta delle fonti documentali, così che si è potuto finalmente mettere in cantiere un progetto di ricostruzione storica meno estemporanea della vita e del servizio di papa Luciani. L’avventura di ricomporre «le membra disperse di un corpo», mosaico fatto di tessera su tessera, che ha fatto riemergere l’attualità del proprium episcoporum, la dignità sapienziale del sacerdote, del vescovo, del patriarca, infine del Successore di Pietro, e la cultura biblica, patristica, dogmatica, morale, storica, umanistica di Luciani. E quella infine di un apostolo della fides romana che con il Concilio è risalito alle sorgenti del Vangelo e ha reso facile a tutti la via verso Cristo. Restituendo così completezza a un itinerario del quale l’ultima tappa, il pontificato, non è stata che la punta di un iceberg. Da qui la volontà di perseguire la creazione di una Fondazione deputata alla tutela, allo studio e alla memoria del suo lascito, che resta riferimento inalienabile. Proprio uno scritto autografo che proviene dalle carte di una vita – sulle verità essenziali della fede, della speranza e della carità – resta come reliquia perenne della sua santità.
Penso che oggi Luciani guardi le cose da lassù ripetendo ancora quello che disse nel 1959 quando veniva consacrato vescovo. Questa è la stoffa della vita cristiana che ha insegnato simpliciter et naturaliter anche a me, e la storia per la quale oggi sono piena di gratitudine: «Sto pensando in questi giorni che con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada e li mette in alto, prende la gente dai campi, dalle reti del mare, del lago e ne fa degli apostoli. È il suo vecchio sistema. Certe cose il Signore non le vuole scrivere né sul bronzo, né sul marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata, non dispersa dal vento, sia bene chiaro che tutto è opera e tutto è merito del solo Signore. Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto... Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore».