Un oratorio a prova di bomba. L’immagine non sembri irriverente né spropositata né troppo ottimistica, perché è quello che accade in questi giorni ad Aleppo e che si propone davvero come sfida alla logica umana. Trecentocinquanta bambini dai 3 ai 15 anni, aderendo all’invito dei frati minori che curano la parrocchia latina di San Francesco, tornano a essere protagonisti di un oratorio estivo in un contesto totalmente sfavorevole, devastato e devastante. Si gioca, si canta, si prega, si diventa amici, mentre tutto intorno si combatte, con il boato delle esplosioni a fare da sottofondo. È una luce nel buio della città martire della guerra siriana, definita dall’Onu la più sanguinosa dopo il secondo conflitto mondiale: 250mila morti, milioni e milioni e milioni di sfollati. Sembra incredibile, eppure accade: un’oasi di pace abitata da trecentocinquanta bambini e ragazzi, cento in più dell’anno scorso, più della metà dei piccoli cristiani rimasti ad Aleppo. Cattolici, ortodossi, armeni, melchiti, tra i quali l’esperienza dell’unità prevale sulla differenza delle antiche screziature confessionali, nel segno della «gioia del Vangelo» e di quell’«ecumenismo del sangue» più volte evocato da papa Francesco proprio in riferimento alla situazione dei cristiani nel Vicino Oriente. Quest’anno, poi, c’è una novità che riguarda direttamente il nostro Paese: l’Associazione Pro Terra Sancta, che opera al servizio della Custodia di Terra Santa affidata ai francescani dal 1217, ha proposto alle parrocchie italiane di avviare dei gemellaggi perché i piccoli siriani sperimentino la vicinanza dei loro coetanei italiani, e questi ultimi possano conoscere da vicino come si vive laggiù, con l’ausilio di un libretto che documenta la pratica delle opere di misericordia corporale, filo conduttore di questo anno giubilare (i dettagli dell’iniziativa a pagina sono a pagina 6). Migliaia di bambini italiani che frequentano il "Grest" – come viene chiamato in molte nostre città l’oratorio estivo – possono leggere e vedere cosa significa concretamente dar da mangiare agli affamati, visitare gli ammalati, vestire gli ignudi, seppellire i morti. Ad Aleppo, con la sua gente. E i piccoli siriani, molti dei quali sono nati in guerra e porteranno per sempre negli occhi e nella mente il macabro ricordo del quotidiano crepitare delle armi e l’urlo straziante delle vittime, potranno trarre conforto ricevendo piccole-grandi testimonianze di amicizia: disegni, poesie, lettere provenienti dagli oratori del nostro Paese. «Abbiamo bisogno di questa comunione con voi», fa sapere da Aleppo padre Firan Lutfi, responsabile dell’oratorio estivo. E Ibrahim Alsabagh, il parroco, racconta che «in una Aleppo semidistrutta la gioia di stare insieme riesce a prendere il sopravvento» dentro una esperienza di vita e di amicizia nel nome di Gesù. Da dove viene questa irriducibile positività che potrebbe sembrare addirittura fuori luogo in un contesto di dolore come quello che da anni attanaglia l’antichissima città? Viene dalla certezza che la morte non è l’ultima parola, perché Qualcuno l’ha vinta con il sacrificio della propria vita. È una certezza generatrice di gesti che lasciano a bocca aperta. Come la preghiera recitata ogni giorno all’oratorio di Aleppo per chiedere la conversione dei cuori dei jihadisti che, poco lontano, lanciano ordigni mortali e predicano l’odio. O come la decisione di trasformare il residuato di una bomba caduta sulla chiesa in un vaso riempito di fiori che durante la celebrazione della messa, al momento dell’offertorio, viene portato all’altare in segno di ringraziamento. Per testimoniare che uno strumento di male può diventare strumento di bene. In quella stessa chiesa, in dicembre, era stata aperta la porta santa della misericordia, l’unica vera medicina per curare il tumore dell’odio reciproco. Non a caso, «Misericordiosi come il Padre nostro» è il tema che guida le otto settimane dell’oratorio estivo: sanno a Chi guardare, questi nostri fratelli che non cedono alla logica della violenza e ripongono tutta la loro fiducia in un amore capace di un perdono umanamente inconcepibile. «Non riusciranno ad avere la nostra paura – dice padre Firas da Aleppo –. Perché ogni giorno vogliamo sfidare le bombe e la morte con la nostra gioia di vivere». Di quella stessa gioia di vivere hanno bisogno i nostri figli, qui in Italia. E ne abbiamo bisogno – tanto bisogno – noi uomini e donne d’Occidente, troppo spesso incapaci di uno sguardo positivo sull’esistenza, succubi come siamo di uno scetticismo che sembra avere dimenticato il fascino di una Bellezza disarmata e disarmante, perciò ultimamente vincente. Per questo possiamo dire che oggi, davvero, da Aleppo arriva una buona notizia.
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