Fu un chiaro intervento "politico", voluto decisamente da Papa Wojtyla e portato avanti con puntiglio dalla diplomazia vaticana. Venticinque anni fa l’opera di mediazione della Santa Sede riuscì a scongiurare un conflitto incombente tra Cile ed Argentina che si contendevano il possesso del canale di Beagle, all’estremità meridionale del continente latino-americano. Una vertenza secolare, riesplosa tra l’ultimo scorcio degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta sull’onda del virulento nazionalismo fomentato dalle dittature militari dei due Paesi.C’era un clima esagitato nel Cono Sud dove nel 1982 sarebbe scoppiata la guerra delle Falkland-Malvinas tra la Gran Bretagna della signora Thatcher e l’Argentina del generale Videla, mentre il Cile di Pinochet tifava apertamente per gli inglesi. A Buenos Aires e a Santiago si mobilitavano gli eserciti. Lo scontro armato sembrava inevitabile. Fu evitato grazie al coraggio di Giovanni Paolo II che volle intromettersi nella faccenda e inviò nelle due capitali un suo emissario, nonostante il rischio di un clamoroso fallimento. Dopo cinque anni di serrate trattative la difficile mediazione della Santa Sede fu coronata da successo ed il 29 novembre del 1984 l’Argentina, nel frattempo tornata alla democrazia, ed il Cile, con Pinochet ancora al potere, firmavano uno storico accordo di pace.L’anniversario è stato celebrato ieri in Vaticano dalle due presidentesse Bachelet e Kirchner alla presenza di Benedetto XVI che ha ricordato «l’instancabile lavoro» a favore della pace condotto da Giovanni Paolo II. E certamente, se il suo intervento non cadde nel vuoto fu perché seppe risvegliare quella comune vocazione di fraternità e di amicizia tra due popoli di tradizione cattolica. Fu un grande esempio di come il dialogo paziente e la volontà sincera di pace possono averla vinta sulla tentazione di ricorrere alla forza. Da quel giorno i rapporti tra Cile ed Argentina sono costantemente migliorati e oggi sono sfociati in una collaborazione strategica di grande valore per tutta l’America Latina.È un fatto che riempie di legittimo orgoglio quei Paesi. E dovrebbe far riflettere noi europei. L’intervento di Papa Wojtyla nella contesa per il canale di Beagle s’ispirava allo stesso principio enunciato da Pio XII nel 1939: «Nulla si perde con la pace, tutto può andare perduto con la guerra». Ma, come sappiamo, non venne ascoltato. Anzi fu deriso e minacciato in nome di ideologie follemente totalitarie e radicalmente anti-cristiane. La vecchia Europa tradiva le propri origini e s’avviava alla catastrofe. È risalita dall’abisso dove giacciono decine di milioni di morti ed è rinata nella pace e nella prosperità. Si è data perfino una bandiera con 12 stelle che richiamano la simbologia mariana. Ma ancora oggi l’Unione Europea non intende riconoscere le proprie radici cristiane, mentre una recente sentenza di una Corte che fa capo al Consiglio d’Europa vorrebbe bandire il crocifisso dai luoghi pubblici. E da più parti non si perde occasione d’accusare la Chiesa di volersi intromettere nella vita dei popoli e degli Stati.Già, nella nostra vecchia Europa una "ingerenza" così sfacciata come quella compiuta da Papa Wojtyla in America Latina avrebbe fatto gridare allo scandalo. Ma, vale la pena ripeterlo: la Santa Sede riuscì a evitare una guerra. Fu la prima concreta affermazione di quella «ingerenza umanitaria» che Giovanni Paolo II avrebbe poi rivendicato apertamente in tante altre situazioni di conflitto. È per questo che «il Papa della libertà» è stato anche il Papa che si è battuto instancabilmente per la giustizia e per la pace, sfidando piccoli dittatori e grandi leader mondiali.