Profonde, dense e intelligenti le parole sui temi dibattuti al Sinodo sulla famiglia che il cardinale Angelo Scola ha affidato a un’intervista concessa a
Repubblica domenica 12 ottobre. Qui ci si limiterà a far riferimento al tema dell’omosessualità, che l’arcivescovo di Milano affronta da par suo, da tre diversi punti di vista. In primo luogo, egli riconosce con parole pacate, ma pesanti, che «siamo stati lenti ad assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell’eguaglianza delle persone omosessuali». L’osservazione non concerne chiaramente il magistero della Chiesa in senso stretto, che sulla necessità di elaborare una nuova percezione della condizione omosessuale come «disordine oggettivo» si è espresso in modo molto preciso da quasi quarant’anni, e precisamente dal 1976, nella «Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale» emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede. Essa concerne piuttosto il sentimento comune nei confronti di una condizione umana verso la quale si sono moltiplicate nei secoli irrisioni, discriminazioni e purtroppo non di rado vere e proprie violenze; un sentimento (cristiano e non cristiano) radicato in quel vero e proprio enigma che è la sessualità da un punto di vista antropologico, aperta come è a innumerevoli forme di 'perversione', cioè di alterazione e di disordine (che coinvolgono ovviamente anche le stesse pratiche eterosessuali). Questo sentimento comune (possiamo anche chiamarlo, come oggi va di moda e senza alcun timore, 'omofobia') va combattuto fermamente e rimosso radicalmente, ma nello stesso tempo non è lecito rifiutare di studiarne le cause profonde (o addirittura negarle!), come oggi purtroppo avviene con l’infantile banalizzazione della sessualità, che consegue ad alcune teorie del 'gender'. In secondo luogo, Scola non si mostra affatto scandalizzato dalla possibilità di procedere a un riconoscimento delle coppie omosessuali: l’essenziale – ed è un ragionamento che i lettori di questo giornale conoscono bene – è non attivare l’illusione che le unioni omosessuali siano analogabili al matrimonio e che da esse possano nascere 'famiglie'. Come «unione aggregativa» quella omosessuale possiede un’identità che la distingue radicalmente da quell’«unione generativa», alla quale tutte le culture, in tutti i tempi, hanno riservato la denominazione di «matrimonio». E poiché – sostiene con precisione l’arcivescovo di Milano – «le parole indicano le cose», non è corretto ricorrere da parte del legislatore a forzature linguistiche, forzature che – su questo punto non si dovrà mai cessare di insistere – non solo alterano la realtà, ma la alterano male: insistere ad esempio nel dire che le unioni gay vanno riconosciute, perché l’amore ha i suoi diritti, significa solo favorire uno dei più colossali fraintendimenti del mondo di oggi, quello per cui al matrimonio si chiede di garantire i sentimenti (cosa che il diritto è del tutto incapace di fare) e non piuttosto la concorde volontà dei coniugi di fondare responsabilmente una famiglia, aperta al futuro delle generazioni. Ultimo punto toccato dal cardinale di Milano con rapidità, ma anche con assoluta precisione, è quello dei rapporti di filiazione e delle diverse forme di manipolazione a cui li stiamo sottoponendo, non solo biologicamente, ma anche e soprattutto legalmente: dalla procreazione artificiale, soprattutto eterologa, alla pretesa dell’adozione da parte di coppie omosessuali. «Si rischia di mettere al mondo figli orfani di genitori viventi», ricorda non a caso Scola; figli che oltre tutto sempre più spesso, conosciuta la verità sulla propria origine, non si rassegnano a ignorarla, perché la verità e il desiderio di verità sono incomprimibili. Stiamo costruendo istituti giuridici fondati, nel caso della procreazione eterologa, su di un’intenzionale e arrogante rimozione della genitorialità naturale e, nel caso della cosiddetta stepchild adoption, sull’imposizione di una genitorialità adottiva, basata però non sull’interesse del bambino, ma sul mero accoglimento da parte del giudice del desiderio di un genitore biologico di poter vedere attribuito un ruolo genitoriale al proprio nuovo partner (etero od omosessuale). Il confronto con la rivoluzione sessuale è una sfida non inferiore a quella lanciata alla Chiesa dal marxismo; è una sfida nei confronti della quale non basta una risposta intellettuale, ma si impone «una rigenerazione dal basso del popolo di Dio». Auguriamoci tutti che gli sguardi concentrati sul Sinodo intensamente, e non sempre benevolmente, sappiano percepire le urgenze di un presente che non ha bisogno di condanne e anatemi, ma di comprensione attivata nello stesso tempo dalla mente e dal cuore.