Sta per concludersi l’estate più infuocata di sempre. Luglio 2019 sarà ricordato come il mese più caldo della storia. Abbiamo presente. Incendi impressionanti hanno annerito superfici vaste della Groenlandia e dell’Alaska. Non si era mai visto prima che le vampe di fuoco infiammassero le vette più alte delle montagne, e il Circolo Artico.
I roghi della Siberia hanno innalzato nuvole di fumo più estese della superficie di tutta l’Unione Europea. Il fuoco ha reso rovente il cuore verde dell’Africa. Furiosi incendi hanno investito anche l’Europa, le isole della Grecia e la Francia, ma non solo. La Spagna, oltre ai fuochi, ha subito tornado e piogge torrenziali, che alla fine di agosto hanno cambiato i connotati di Madrid e trasformato le sue strade in fiumi scatenati. Scriviamo mentre il "mostro" dell’uragano Dorian sta investendo Florida e Giorgia, dopo aver fatto scempio delle Bahamas.
Forse, con l’implicito intento di rompere l’ostinazione di Donald Trump: gli effetti del cambiamento climatico sono la prima priorità di lungo periodo di cui i politici, appena rientrati dalle vacanze, dovrebbero occuparsi. In Italia, complice la crisi d’agosto, è accaduto. E il capitolo "verde" promette - vedremo se la promessa sarà mantenuta - di essere parte essenziale della nuova intesa programmatica e di governo giallo-rossa. Meno male. Il catalogo degli orrori potrebbe continuare, infatti, volendo.
Lo squillo di tromba, sia chiaro, non vale solo per Trump. Risuona questo richiamo anche per noi italiani, che possiamo impegnarci per assumere una leadership morale e concreta lungo questo cammino, e soprattutto per le rappresentanze europee che stanno per insediarsi. Fresca di voto, la nuova leader della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen sfoderò il piano di produrre un Green Deal nei primi 100 giorni della sua presidenza. Sia chiaro: Il programma da lei annunciato appare del tutto inadeguato alla portata della sfida, sia per dimensione delle misure che per approccio proposti. Ma la campagna Green New Deal for Europe ha deciso di prendere sul serio le intenzioni della presidente. E così si è messa al lavoro per dare forma e forza di proposte all’idea del Green New Deal, evocazione ripetuta da più forze politiche nella competizione per le elezioni europee.
Da questo sforzo, al quale chi scrive ha avuto il privilegio di partecipare, scaturisce il documento A Blueprint for Europe’s Just Transition (Un progetto per la giusta transizione dell’Europa) lanciato lunedì 2 settembre in tutto il continente (https://report.gndforeurope.com/). Un pacchetto di misure volte e disegnare una visione ambiziosa e realistica dell’Unione Europea nel contrasto alla crisi climatica e ambientale, un piano che poggia in primis sulla valorizzazione della funzione pubblica degli Stati e su un nuovo utilizzo della finanza pubblica, come strumento potentissimo per garantire alla Ue una giusta e solida transizione ecologica. Infatti il documento, con robustezza di dati e fonti, risponde a sfide ben precise: come possa l’Europa raccogliere i fondi necessari per combattere il cambiamento climatico; come investire soldi delle istituzioni finanziarie europee; come porre al centro di questo processo la giustizia ambientale.
Crisi climatica e crisi socio-economica vanno di pari passo, questo il punto di vista del documento. Gli effetti negativi delle disuguaglianze sono riconoscibili e dirompenti tanto quanto le devastazioni del surriscaldamento del pianeta. Le disuguaglianze sono pericolose perché prosciugano ogni distribuzione delle ricchezze: il 10% delle famiglie più ricche in Europa detiene il 50% della ricchezza di tutto il continente, sempre più lontane e separate dal 40% delle famiglie della fascia sociale che controlla il 3% appena della ricchezza.
Innalzano i livelli di esclusione sociale, sicché, nel 2016, erano 118 milioni i lavoratori europei poveri, un fenomeno che non risparmia neppure economie leader come quella tedesca. Il documento si ispira esplicitamente alla Amministrazione dei Lavori Pubblici ( Public Works Administration) con cui il presidente Roosevelt impostò la politica di investimenti governativi negli Usa durante la Grande Depressione. Il Green New Deal si fonda strategicamente su tre assi, e tre ambiti istituzionali. I Lavori Pubblici Verdi ( Green Public Works), cioè un nuovo e storico programma di investimenti pubblici per lanciare la giusta transizione europea, con una forte componente di disincentivi alla prosecuzione di politiche fossili e insostenibili da parte degli Stati Ue. L’Unione Ambientale ( Environmental Union), ovvero un pacchetto di norme per allineare le politiche europee al consenso scientifico, orientando l’economia verso la solidarietà e la sostenibilità, come sancito del resto nei Trattati europei. La Commissione di Giustizia Ambientale, un organo indipendente con mandato di monitoraggio e orientamento ai politici europei sulla causa della giustizia ambientale. Irrealizzabile utopia? Scrive Bill McKiben nella prefazione del documento che «il Green New Deal per l’Europa è il primo tentativo di risposta politica al cambiamento climatico all’altezza della gravità del problema ». Una risposta che non può essere data in pasto al solo mercato, per una vaga tinteggiatura di verde nello scenario perdurante della deregolamentazione. Se l’estate infuocata senza precedenti sarà servita almeno a convincerci dell’urgenza di questa svolta, potremo dire come i latini: e malo, bonum, dal male è venuto un bene.
Vicepresidente Fondazione Finanza Etica